Come cane e gatto, [VM18] Jabura x Lucci

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 28/12/2016, 21:27
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


2rr1bft ~ Jabura

Le infermiere ormai si erano abituate agli amici di Rob Lucci e, appurato che nessuno di loro era così cretino da staccare i tubi dell’ossigeno o inciampare nella flebo, li lasciavano nella stanzetta di degenza anche da soli, senza nessuna di loro a intromettersi nella loro privacy.
Di solito venivano tutti insieme, come un variopinto e rumoroso corteo di carnevale. Varcata la soglia della stanza del loro amico, però, ogni voce si smorzava e tutti si impegnavano a non disturbare. Ogni tanto qualcuno chiedeva perché non si svegliasse, se stesse bene, se sentisse freddo, e le infermiere ripetevano sempre la stessa filastrocca: “si sveglierà, poi mangerà, e tutti insieme vi ringrazierà”.
Era un coma farmacologico, avevano poi spiegato in maniera un po’ più professionale, ed era tutto sotto controllo.

Beh, a lui non piaceva lo stesso, pensò Jabura guardando oltre al vetro della finestra della stanza di Lucci. Guardava fuori perché ammirare per l’ennesima volta quell’alzato di culo a letto, pallido, smorto e cadaverico lo faceva incazzare e, forse, in fondo in fondo (decisamente in fondo), lo faceva anche preoccupare.
“Chapapa, e se non si sveglia?” stupido Fukuro! Come gli era venuto in mente di dire una cazzata simile, la sera prima? Lui aveva reagito subito e l’aveva pestato, ma Kaku? e Califa? Invece di dire che era un’ipotesi assurda erano stati muti.

Quel pomeriggio Jabura era andato da solo, a trovare Rob Lucci. Non che avesse avuto scelta, in realtà: non aveva proprio voglia di trasformarsi in un lupacchiotto dolce e carino per degli stupidi mocciosi, quel giorno, e Califa l’aveva mandato lì all’ospedale per sincerarsi della situazione. “Noi ti raggiungiamo tra un’ora. Sali in camera e apri la finestra ad Hattori appena le infermiere se ne andranno”, aveva programmato la donna, segretaria per vocazione, più che per copertura.

Sul davanzale si posò un colombo bianco e becchettò sul vetro.
« Ah, sei qui. » bofonchiò Jabura. « Aspetta un po’. »
Le infermiere con loro erano permissive, ma Jabura dubitava che avrebbero chiuso un occhio con un piccione che volava per la stanza. Andò ad affacciarsi in corridoio, si assicurò che in vista non ci fosse nessuno, e poi aprì la finestra per far entrare Hattori.
Amara ironia che l’amico più affezionato e sincero di Rob Lucci non potesse andare a trovarlo liberamente. Bisognava essere ciechi e sordi per non accorgersi che quello che soffriva di più per la situazione era proprio l’uccellino: abituato com’era a stare sulla spalla del leader del Cp9, viveva la separazione con tristezza, le piume erano più opache del solito, mangiava poco, e Califa la sera precedente l’aveva trovato infreddolito su un ramo basso appena fuori dall’ospedale; portato a casa, era stato viziato e coccolato da tutti, e consolato sulla sorte del suo amico.
Il colombino bianco entrò con un frullo d’ali e si andò ad accovacciare subito vicino alla testa di Rob Lucci. Tubò in direzione di Jabura, e l’agente notò che era un verso triste e scoraggiato.
« Non ti ci mettere anche tu. » disse ad Hattori, incrociando le braccia sull’ampio petto. « Siete tutti scemi? La mala erba non muore mai! »

Mosse qualche passo e si affacciò alla sponda ai piedi del letto, guardando verso il collega.
Che diavolo aveva da dormire ancora?
“Potete parlargli, ma non dovete assolutamente provare a svegliarlo come fareste tra voi al mattino!” li avevano avvisati le infermiere.
Non si muoveva niente. L’uomo era immobile nel letto, con il braccio sul lenzuolo per accogliere l’ago, la mascherina dell’ossigeno copriva la bocca. E c’era un colombino piccolo piccolo che teneva nel becco una ciocca di capelli, tendendola lievemente.
Quando cazzo arrivavano, quei deficienti dei suoi colleghi? Odiava essere lasciato solo in quella situazione!
« Sei uno stronzo, Lucci. Guarda come stai facendo preoccupare Hattori! » lo rimproverò. « Sai che Califa l’ha trovato bagnato fradicio, ieri sera, qui fuori? Aspettava che il suo padrone si svegliasse… »
Sbuffò. Che palle litigare da soli.
« E stai facendo preoccupare anche Califa. E Kaku. Sei un egoista gonfiato anche quando dormi, idiota! Kaku non si è fatto curare, pur di non togliere soldi a te. »
Ghignò. « Non svegliarti, rimani tranquillo. Non era esattamente così che volevo scalare la nostra classifica » disse, riferendosi al Doriki « ma va benissimo lo stesso, Kaku lo supero quando voglio. »
« E manderò i saluti a Spandam anche da parte tua, visto che tu non ce la fai » cantilenò.

Edited by Yellow Canadair - 30/12/2016, 02:17
 
Top
view post Posted on 31/12/2016, 16:12
Avatar

The storm is approaching

Group:
Admin
Posts:
11,895
Location:
Red Grave

Status:


mI6864x
Rob Lucci

C'era un confine molto sottile tra i sogni e i ricordi, nell'inconscio di Rob Lucci.
Da quando il buio lo aveva inghiottito, privandolo della consapevolezza di sé e di ciò che lo circondava, le immagini gli affioravano in mente come quadri astratti, sconnesse dal tempo e dallo spazio.
Talvolta vedeva posti in cui era stato: i cantieri della Galley-La coi loro massicci cancelli d'ingresso, lunghi e tortuosi canali d'acqua che si snodavano tra gli edifici svettanti di Water Seven.
Altre volte lo scenario si annebbiava, e si ritrova a fissare un mucchio di rovine, resti del passaggio del Buster Call, in cui stentava a riconoscere l'isola giudiziaria. Raramente, si presentava un'altra visione -la più singolare di tutte- in cui le onde del mare si muovevano sotto di lui e aveva quasi l'impressione di camminare sul pelo dell'acqua, senza che le sue gambe si muovessero.
Era come se una parte di lui fosse cosciente del coma, ma non per questo riuscisse a riconoscerne gli effetti. A discernere la memoria dall'immaginazione.

Poi, finalmente, aveva sentito i rumori.
Tintinnii lontani, che in breve tempo erano diventati rintocchi di campane. E versi, simili a richiami, che si erano rivelati cinguettii di uccelli.
E voci.
Voci pacate, per lo più di sconosciuti; ma anche sussurri che suonavano familiari, per quanto distorti e ovattati arrivassero alle sue orecchie.
Era frustrante non capirne il significato. Doppiamente frustrante non distinguerle, sapendo che in qualche modo avrebbe dovuto, ma quelle voci avevano rappresentato da subito una certezza. L'unica cosa che sapeva essere reale, in una pressoché totale alienazione dal mondo esterno.
Finché un giorno, fastidiosa come il torpore che gli attanagliava ogni fibra del corpo, Lucci non ne riconobbe chiaramente una: la voce che sperava sempre tacesse in sua presenza e che invece, per fargli dispetto, non taceva mai.
La voce di Jabura.
Blaterava cose che per lui avevano poco senso, rinfacciandogli presunte colpe.
E gli dava candidamente dello stronzo.
Prova a ripeterlo, cane bastardo sibilò Lucci, con l'intenzione di serrare i pugni e affidare a loro il resto del discorso, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono e le sue dita si mossero appena sulle lenzuola.
Il corpo non rispondeva. Però, in compenso, l'udito funzionava benissimo e non gli risparmiava una sillaba dello sproloquio del collega.
Decisamente irritante.
Avvertì un movimento accanto alla sua testa e spostò gli occhi in quella direzione. Ancora buio.
Allora tentò di sollevare le palpebre, pesanti come macigni. Ci aveva provato altre volte, senza risultato (o forse aveva solo immaginato di farlo?), ma stavolta sarebbe stato diverso.
Non sarebbe rimasto in silenzio a farsi insultare dal primo degli idioti!
Volontà e indignazione la spuntarono sul buio.
Riapparve la luce, per un attimo così abbagliante da costringerlo a chiudere gli occhi e a riaprirli lentamente. Cominciarono ad emergere alcuni particolari di una stanza che non aveva mai visto e un piccolo profilo di colombo bianco, ritto alla sua destra, che avrebbe riconosciuto tra mille altri esemplari uguali.
Hattori lasciò la sua ciocca di capelli, tubò calorosamente e piegò la testa da un lato, gli occhietti che brillavano di gioia e ritrovata speranza. Lucci non vi si soffermò a lungo, rimandando a più tardi tutte le dovute attenzioni. Abbassò lo sguardo alla ricerca della fonte di disturbo e la trovò in piedi di fronte a sé, senza difficoltà, malgrado l'ostacolo visivo della mascherina dell'ossigeno.
Avrebbe avuto decine di domande da porre a quello scemo -dove si trovava, tanto per cominciare? Dov'erano gli altri? E che accidenti andava abbaiando su Califa e Kaku?-, e invece il suo primo pensiero fu: Te lo puoi scordare, di scalare quella classifica.
Perché le provocazioni di Jabura non sarebbero mai scivolate addosso a Rob Lucci, nemmeno con un piede nella fossa.
«Tu...» cominciò, la voce ridotta ad un mormorio soffocato sotto il respiratore «Rimani ancora il numero tre. Imbecille.»
Si sentiva già meglio dopo quella precisazione. Almeno per modo di dire, dal momento che se ne stava steso a letto con l'emicrania incalzante, l'arsura in bocca e gli arti insensibili dentro le fasciature. Dovevano averlo imbottito di farmaci negli ultimi giorni.
Gli venne da pensare a Spandam, la volta in cui Funkfleed, terrorizzato dalla vista di un topo, era sfuggito al suo controllo e gli aveva schiacciato la testa a muro come una nocciolina (e lui aveva sperato invano nel suo funerale).
Il paragone lo disgustò, ma gli fece anche tornare in mente le ultime parole di Jabura a proposito del direttore.
Mandargli i saluti...
Lucci contemplò il soffitto della piccola camera d'ospedale. Troppo piccola perché fosse una stanza offertagli dal Governo Mondiale.
Credeva di averlo solo sognato.
Credeva che quello che aveva ascoltato tra le rovine di Enies Lobby fosse solo un artefatto del coma, un pessimo scherzo del subconscio.
Ma ora vedeva la realtà.
Avevano fallito, e Spandam li aveva lasciati a morire sotto il fuoco dei cannoni.
Lucci deglutì per schiarirsi la voce. Gli sembrò di inghiottire un boccone ben più amaro del suo frutto del diavolo.
«...Quindi siamo fuori. Il CP9 è sciolto.»
 
Top
view post Posted on 1/1/2017, 23:31
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


~ Jabura

Jabura serrò le mani sulla sponda ai piedi del letto e strinse i denti: se l’era sognato? O era un “riflesso qualcosa”, come dicevano le infermiere?

Era già capitato nei giorni scorsi che lo scemo si fosse mosso di qualche millimetro durante le loro visite (senza svegliarsi, troppo onore), e fosse scoppiato il finimondo: Fukuro si era messo a ballare, aveva urtato Califa e lei aveva cominciato a blaterare di molestie sessuali; Kumadori si era inginocchiato in mezzo alla stanza declamando un ringraziamento alla mamma per aver “restituito Rob Lucci”; Kaku sarebbe andato a chiamare le infermiere, ma quelle già stavano marciando verso la loro stanza con i badili e li avevano cacciati tutti, e il giorno dopo per punizione non avevano fatto entrare nessuno.
Meno male che almeno lui e Blueno avevano conservato un minimo di decenza. Grazie al frutto di Blueno poi Kaku, la sera successiva, era andato in gran segreto a sorvegliare il leader, e a riportare a tutti notizie confortanti: nulla di nuovo, ma per Hattori era importante sapere che il suo amico era vivo, al sicuro, e amorevolmente accudito dalle infermiere.

Ma adesso c’era qualcosa di diverso: non solo gli sembrava di aver intravisto un movimento del volto e delle dita, ma anche Hattori aveva cambiato umore: il piccolo aveva lasciato andare la ciocca di capelli che aveva nel becco e zampettava sul cuscino, e gli occhietti scintillavano.
E poi, come a confermare quei pensieri, gli occhi di Lucci si schiusero, e delle pupille nere e lucide fissarono Jabura, infastidite e sprezzanti.
« Ehi? Ti sei deciso? » lo apostrofò l’agente, ma non con la convinzione che avrebbe voluto. Maledetto gatto idrofobo, lo faceva apposta, a svegliarsi quando c’era lui solo!?
Sentì un mormorio da sotto al respiratore: « …mero tre… …cille… » riuscì a cogliere.
« ALLORA STAVI ASCOLTANDO, PEZZO DI MERDA??? » esplose Jabura facendo sobbalzare Hattori. « “Tre”?? In questo momento sei fuori classifica, non puoi permetterti di parlare! È merito del sottoscritto se non hai ancora l’arpa in mano!! » s’inviperì.
Era sveglio e si stava anche permettendo di ignorarlo!
Jabura si trattenne dal pestaggio e decise cercare il tasto per chiamare le infermiere. Mentre era impegnato a cercarlo nei paraggi del letto, sentì un’altra frase, un po’ più chiara, anche se soffocata dalla debolezza e dal respiratore.
« …il CP9 è sciolto »
Jabura sospese la ricerca. Espirò lentamente e poi si issò a sedere sulla sedia che stava al capezzale del letto.
« Con la testaccia che hai, credevo ci mettessi di più, a capirlo. » considerò infine. « E pensa, tu sei anche stato licenziato dal tuo capo, Iceburg. » aggiunse, ironico.
Accidenti, lui non era la persona adatta per affrontare l’argomento… se Lucci si fosse svegliato anche solo mezz’ora più tardi, probabilmente ci sarebbero stati anche gli altri, e sarebbero stati Califa o Kaku a parlargli della loro situazione attuale.
« Adesso basta scambiarci convenevoli… ti chiamo un’infermiera. Anche se avrei preferito il becchino. »
Avanzò verso la porta della stanza, si affacciò sul corridoio e, notando una donna in camice che camminava verso le scale in fondo al reparto, chiamò: « Ehi! Infermiera! »
La donna si voltò.
« Si è svegliato! Venga subito! »
Essendo il reparto di rianimazione, quel “si è svegliato” fu preso subito molto seriamente, e la donna si diresse nella sua direzione.
Jabura non la aspettò sulla soglia, tornò dentro la stanza e guardò Rob Lucci. E gli venne in mente un problema atroce: Hattori non doveva essere lì!
« Hattori, esci! » disse in fretta spalancando la finestra.
Hattori si ritrasse e si addossò alla testa di Lucci, affondando leggermente fra i capelli sporchi.
« Non mi interessa! Dai! Fuori! »
Hattori con caparbietà ritirò le zampette e si sedette lì dov’era.
Jabura ringhiò. Tale padrone, tale uccello!!
La porta della stanza si aprì ed entrò l’infermiera. Si avvicinò a Rob Lucci e poi si voltò verso Jabura. « Non l’ha svegliato lei, vero? » chiese preoccupatissima, come prima cosa.
« Ha fatto tutto da solo. » replicò Jabura con un aplomb perfetto, spalle dritte e mani dietro la schiena che trattenevano un Hattori decisamente furioso.
L’infermiera si avvicinò al degente. « Buongiorno, Rob » sorrise dolcissima vedendo gli occhi aperti. Gli infilò con delicatezza lo sfigmomanometro e poi, a Jabura: « Ha detto qualcosa? L’ha riconosciuta? »
« Non saprei… » ghignò Jabura alle spalle della donna, fissando ilare Lucci. « Ha farfugliato cose senza senso! »
« Vado a chiamare il primario. » avvisò la donna con un velo di preoccupazione sul volto. « Lei rimanga qui, e chiami subito una collega se ci sono problemi. » fece dietro-front sulle sue ciabattine di gomma bianche e se ne andò in tutta fretta.
« Maledetto piccione del cazzo!!! » esplose Jabura lasciando Hattori, che stavolta prima di posarsi accanto a Lucci fece un ampio giro per la stanza. « E tu non guardarmi così, pensi che la dottoressa sarebbe stata più delicata, con lui? » incrociò le braccia sul petto e squadrò l’agente nel letto. « Mi tocca pure farti la guardia, adesso. »

Edited by Yellow Canadair - 3/1/2017, 20:34
 
Top
view post Posted on 4/1/2017, 21:29
Avatar

The storm is approaching

Group:
Admin
Posts:
11,895
Location:
Red Grave

Status:


mI6864x
Rob Lucci

CITAZIONE
« E pensa, tu sei anche stato licenziato dal tuo capo, Iceburg. »

«Non era veramente il mio capo» puntualizzò con asprezza.
Ma inutile negare a sé stesso che quella notizia era la maledetta ciliegina sulla torta.
Non solo erano stati sconfitti da un pugno di mocciosi, non solo avevano perso i progetti di Pluton dopo cinque lunghi anni di sacrifici e l'isola giudiziaria era stata rasa al suolo inutilmente: se Iceburg era sopravvissuto (e stava abbastanza bene da mandargliele a dire) persino l'occultamento delle prove era stato un buco nell'acqua. Un fallimento su tutta la linea.
Lo sguardo di Lucci s'incupì, inchiodato al soffitto come se vi fossero stati appena proiettati gli ultimi momenti della sua carriera nel CP9 e ora non vi rimanesse che una singola, gigantesca domanda a fare da titolo di coda.
Se erano licenziati, che diavolo ci faceva lui lì? Ancora sveglio, ancora vivo, nonostante avesse perso tutto e nulla gli fosse dovuto.
All'improvviso la storia di Kaku che rifiutava le cure "per non togliere soldi a lui" acquistò un significato, almeno ipotetico, e Lucci trovò ancora più insopportabile la sua condizione.
Jabura lo riportò al presente chiamando un'infermiera dal corridoio. Un attimo dopo lo vide cimentarsi nel maldestro tentativo di buttare fuori Hattori a cui, a quanto pareva, non era permesso stare nella sua stanza.
Il cane idiota sì; Hattori no: un altro segno che il mondo sembrava aver cominciato a girare al contrario.

CITAZIONE
« Non mi interessa! Dai! Fuori! »

Per tutta risposta, sentì il piccione rannicchiarsi ostinato tra i suoi capelli.
«È inutile...» fece Lucci, infastidito tanto dai modi quanto dagli schiamazzi del lupastro. «Non prende ordini dagli stupidi.»
L'ingresso dell'infermiera troncò il battibecco sul nascere. La donna non notò che Jabura tratteneva Hattori dietro la schiena (Lucci sì, e la cosa non gli piaceva per niente), gli si avvicinò, lo salutò e prese subito a misurargli la pressione.
Dal suo sorriso e dal fatto che l'avesse chiamato per nome, Lucci ebbe la conferma di non trovarsi a Water Seven, dove la sua vera identità, assieme a quelle di Kaku, Califa e Blueno, sarebbe stata presto divulgata. Sempre che non fosse già accaduto: non sapeva quanto tempo era rimasto in coma.
In effetti, la mancanza d'informazioni cominciava a urtarlo. Non sapeva dove si trovava, non sapeva che giorno era, perché era vivo, cosa fosse accaduto agli altri per aver deciso di lasciarlo con Jabura. Quello scemo che, a parte lagnarsi e lamentarsi, non lo aveva messo al corrente di niente.

CITAZIONE
« Ha detto qualcosa? L'ha riconosciuta? »
« Non saprei… Ha farfugliato cose senza senso! »

...E osava persino prendersi gioco di lui!
Farfuglierai tu cose senza senso, quando avrò finito con te, pensò Lucci scoccandogli un'occhiata truce. Ci sarebbe voluto ancora un po' prima di esserne davvero in grado, ma se c'era una cosa che la missione nella metropoli dell'acqua gli aveva insegnato, era saper aspettare.
Quando l'infermiera uscì, Jabura esplose in un'altra imprecazione a volume esagerato per i suoi timpani e Hattori tornò a posarglisi accanto con le piume arruffate e il cravattino spiegazzato.
Lucci trafisse il collega, ex collega, con un'altra occhiataccia. Avrebbe pagato gli interessi anche per quello.

CITAZIONE
« Mi tocca pure farti la guardia, adesso. »

«Dovrebbe venire naturale a un cane come te» commentò tagliente, mentre accarezzava con l'indice Hattori, che nel frattempo aveva zampettato fino alla sua mano.

Poco dopo, i passi di due persone si avvicinarono alla camera.
Una delle due doveva essere il primario dell'ospedale, a giudicare dalla voce maschile e dai commenti inerenti a dati di una cartella clinica; l'altra avanzava con uno scalpiccio di tacchi a spillo, sebbene la pesantezza del passo lasciasse pensare a tutto tranne che a una donna.
Lucci convinse Hattori ad aspettare fuori fino alla fine della visita, ma il piccione non andò oltre il davanzale esterno della finestra, restando a guardare attraverso il vetro ora lui, ora Jabura, con apprensione.
«Buongiorno, signor Rob.»
Il primario era un uomo corpulento, quasi senza collo, con un naso più schiacciato di quello di Kumadori e una voluminosa capigliatura afro a fargli guadagnare centimetri in altezza. Teneva una cartella in mano, penne e termometri infilati nelle tasche del camice, e sembrava sinceramente colpito di trovarlo sveglio.
L'infermiera al suo seguito, a parte il diverso taglio di capelli, le cosce costrette nei reggicalze a rete e i labbroni sporgenti lucidi di rossetto, non aveva una corporatura molto diversa.
«Ha notato segni di lucidità?» chiese il medico a Jabura, sfilandosi una penna di tasca. Lucci non fece in tempo a comunicare che sì, era sveglio e vigile, che quello cominciò a sventolargli l'oggetto davanti alla faccia perché lo seguisse con gli occhi. «Sembrerebbe cosciente...»
«Lo sono» lo informò in tono asciutto.
«Oh, è meraviglioso! ♥» squillò emozionata l'infermiera, prendendo una mano di Jabura tra le sue e portandosela al petto «Le sue preghiere sono state ascoltate, caro! Suo fratello ha superato il peggio!!»
Lucci sussultò come se avesse appena preso la scossa. Sollevò la testa di qualche centimetro, anche se le tempie minacciarono di scoppiargli: «...Fratello?»
«Non lo riconosce?» lo interrogò il medico con un'espressione seria. Lucci se lo vide già a iniettargli qualche altra schifezza per endovena.
Si rilassò sul cuscino e guardò di nuovo Jabura, gli occhi ridotti a due fessure. «Certo che lo conosco.»
Abbastanza da sapere che non aveva alcun grado di parentela con lui e che la sola idea di avercelo, anche solo per finta, era un oltraggio alla sua persona.
 
Top
view post Posted on 5/1/2017, 16:48
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


2rr1bft ~ Jabura

« Oh! » si commosse l’infermiera « Anche io ho una sorella, e immagino come ti sei sentito, con tuo fratello ricoverato in queste condizioni! Se a lei succedesse qualcosa… non mi darei pace! » disse a Jabura tenendosi la sua mano contro il petto.
Jabura non la seguiva molto perché “il petto” comprendeva due tettone formato famiglia, e per di più la donna aveva qualche tratto somatico in comune con la sua ex, Gatherine. Però i neuroni gli si risvegliarono alla frase della donna: « Su, non essere timido… puoi finalmente riabbracciarlo! »
Lo trascinò ballonzolando al capezzale di Rob Lucci.
I due ex agenti si scambiarono reciprocamente uno sguardo teso. O almeno, quello di Lucci sembrava teso, quello di Jabura virava verso il panico assoluto.
Cazzo, pensò Jabura, perché le bugie gli si ritorcevano contro spesso e volentieri?!
Il dottore lo salvò in calcio d’angolo: « Infermiera, non stressi il paziente inutilmente. » poi guardò verso il visitatore. « Gli rimanga vicino, giovanotto. Gli fa bene avere un familiare accanto, in questo momento. »
Jabura si sedette sulla seggiola a disposizione per le visite, avendo cura di non rimanere troppo vicino al letto. Da quel donnone si aspettava quasi di essere preso e spinto in braccio al gattaccio a tradimento, e la guardava sospettoso. Certo, avrebbe potuto cavarsi d’impaccio con qualche tecnica, il Kami-e era fatto apposta per situazioni simili, però loro erano alla macchia, e Kaku aveva esortato tutti a non esporsi usando le Tecniche che li avrebbero resi facilmente riconoscibili.
Certo, come se fare gli artisti di strada trasformati in lupi e giraffe fosse “stare in incognito”! Coglione di Kaku.

“Ma il mio Frutto del Diavolo non lo conosce nessuno” aveva detto l’ex carpentiere “E tu, da quando siamo a San Popula, sembri più un cane che un lupo” e poi era partita una rissa perché “cane” a lui non lo doveva dire nessuno! Era un lupo! Se l’era persino tatuato in petto! Il fatto che si trasformasse in maniera diversa, meno minacciosa, non lo rendeva meno lupo!

L’infermiera, però, distolse la sua attenzione da Jabura e liberò Rob Lucci dal respiratore, stando bene attenta se il paziente avesse difficoltà a respirare senza.
Intanto il medico si sedette su un’altra sedia, dall’altra parte del letto, e cominciò a parlare: « Rob Lucci, è questo il suo nome? È fuori pericolo. Lo hanno portato qui i suoi familiari » indicò Jabura, il quale fece cenno di sì con la testa con un sorriso (falso come la mappa del One Piece in omaggio con il quotidiano del giorno a 4,99 Berry). « Era in codice rosso, condizioni molto critiche; l’abbiamo operata e in questo momento è ancora sotto l’effetto dei sedativi, per questo può avere difficoltà a muoversi. Ricorda qualcosa dell'assedio? »
« È stata la prima cosa che gli ho chiesto. » intervenne Jabura. Non sia mai che Lucci, rispondendo in buona fede, dicesse qualcosa in contrasto con quello che avevano raccontato loro! Perché certo non potevano raccontare di Monkey D. Rufy, di Spandam, di Enies Lobby e del Buster Call! « Lo ricorda. I dettagli sono un po’ fumosi, ma non è confuso al riguardo. »
Il dottore lo guardò con sospetto, ma poi la prese per buona. « Per favore » disse duro « Sono d’accordo che i familiari stiano con i loro cari, soprattutto in queste circostanze, ma cerchi di non stressare suo fratello. »
Poi tornò a rivolgersi a Lucci, molto seriamente. «L’abbiamo tenuto in stato di coma farmacologico per tre giorni. Non potevamo fare altro, viste le sue condizioni. Ma il semplice fatto che stia avvenendo questa conversazione vuol dire che il suo recupero è rapido e sta rispondendo bene alle cure. E ora » sorrise « La lascio in compagnia di suo fratello. Il resto del teatro itinerante oggi non viene? » domandò all’ospite.
« La tournée sta andando alla grande e oggi il pubblico ha chiesto dei bis. Per questo faranno più tardi. » rispose pronto Jabura.
« Oh, che amori! » squittì l’infermiera. « Ma non siate timidi! Tenetevi la mano, state vicini! Non badate a noi! »
« Infermiera, credo che… » protestò il primario.
Ma prima che qualcuno potesse protestare, la donna prese la mano di Jabura e la serrò su quella di Rob Lucci.
Jabura divenne paonazzo e gli partì il Tekkai, rapido e istintivo.
COME VENIVA IN MENTE A QUELLA CRETINA DI FARE UNA COSA SIMILE?!? E doveva anche starsi zitto perché… erano fratelli (detto con un corteo di puttini, trombe angeliche e petali di fiori). CHE SCHIFO!!! CHE SCHIFO! CHE COSA DA FROCI!!! Però com’era fredda la mano di Lucci, PAGAVANO UN FRACASSO DI SOLDI PER FARLO GHIACCIARE?!
« Infermiera, lasciamogli la loro intimità, avranno molto da dirsi. » il primario quasi la prese di peso e la portò fuori.
I due sparirono nel corridoio e chiusero la porta.
« BLEEEEAH!!! IO SPERO CHE TU ABBIA L’ANTIRABBICA!!! » saltò via Jabura allontanandosi dal letto e incollandosi alla parete di fronte. « MALEDETTA MESSINSCENA! » e si pulì con forza la mano sui suoi pantaloni.
Calmatosi (anche se era una parolona), tornò verso il letto, e strada facendo aprì di nuovo la finestra ad Hattori, che volò felice vicino a Lucci.
« Senti » disse accovacciandosi vicino a Rob e parlando con tono da cospiratore « Non è il momento buono per parlartene, e non me ne frega niente. Non so quanto tempo ci lasceranno soli. Siamo a San Popula. La Marina ci sta cercando, ma per ora non qui. Abbiamo raccontato che siamo tutti fratelli, altrimenti non ci avrebbero fatti entrare. In caso di emergenza, fuggiamo tutti con l’Air Door di Blueno, e devi essere pronto anche tu in qualsiasi momento. Se sei ancora un vegetale, prendiamo anche il letto. Ok? Ok. »
Informazioni base. Fanculo il “non stressarlo”, era un agente segreto? Si comportasse come tale.

Edited by Yellow Canadair - 5/1/2017, 20:36
 
Top
view post Posted on 9/1/2017, 00:40
Avatar

The storm is approaching

Group:
Admin
Posts:
11,895
Location:
Red Grave

Status:


mI6864x
Rob Lucci

Jabura era un totale, irrimediabile idiota.
Lucci non fece che ripeterselo mentre l'infermiera lo trascinava minacciosamente verso di lui con l'intento di farli riabbracciare come bravi fratelli.
S'irrigidì e avvertì un formicolio diffondersi lungo tutte e due le braccia. Piuttosto che subire quell'abuso fisico avrebbe affondato gli artigli nella faccia del deficiente, e pazienza se medico e infermiera fossero inorriditi di fronte ai poteri del Felis Felis.
Per fortuna, proprio il primario intervenne a cavarli fuori dall'impiccio. Almeno in parte, perché Jabura non poté evitare di sedersi vicino al suo letto.
Lucci non fece una piega -doveva reggere il gioco, volente o nolente- ma i suoi occhi non smisero di fissare il rivale per un attimo, sprezzanti, a sottolineargli che stava invadendo il suo spazio e che se erano finiti in quella situazione penosa la colpa era solo delle sue scemenze. Tra quelle e la boccaccia larga di Fukuro non sapeva cosa fosse più nocivo, talvolta.

Poi il medico iniziò a fare il resoconto degli ultimi giorni e delle sue condizioni di salute. Parlò anche Jabura e Lucci li ascoltò in silenzio, appuntandosi in mente i dettagli salienti e provando un'onta di sdegno ogni volta che la parola "fratello" veniva rimarcata.
Rimase imperturbabile, anche quando capì che le sue ipotesi erano corrette, che i suoi ex colleghi gli avevano salvato la vita e che per farlo non si erano risparmiati di lavorare come gente comune in città. Poco importava non capire esattamente di cosa si occupassero: il punto era che nessuno aveva chiesto loro di farlo. E nessuno, neppure lui, li avrebbe biasimati se lo avessero abbandonato ad Enies Lobby.
Alla fine l'infermiera squittì qualcosa riguardo al non essere timidi e si precipitò verso di loro. Lucci non ebbe nemmeno il tempo di pensare a una contromisura che sentì la mano calda di Jabura stringersi nella sua.
Un secondo di sgomento, ogni muscolo "sveglio" del suo corpo contratto per la tensione.
C'era qualcosa di così sbagliato in quella stretta che non si sarebbe sorpreso se una qualche forza naturale fosse sopraggiunta a separarli, come due magneti dello stesso polo.
Lucci investì Jabura con uno sguardo assassino. Ancora una volta doveva ringraziare la sua imbecillità per quella dose di disagio puro. E no, nemmeno un Tekkai perfetto poteva proteggerli da una cosa del genere!
Quando medico e infermiera uscirono, il cane ebbe il buonsenso di schizzare lontano da lui. Lucci non badò ai suoi latrati mentre si strofinava la mano sul lenzuolo (augurandosi che non vi restasse l'odore) e si limitò a constatare «La tua stupidità non finisce mai di sorprendermi.»
Quasi a dargliene ulteriore conferma, Jabura parlò di nuovo e pronunciò cinque parole che furono come un coltello rigirato nella piaga: La Marina ci sta cercando.
Per Lucci era l'ultima goccia.
Ricercati.
Dopo un'intera vita al servizio del Governo Mondiale, erano ricercati dalla Marina.
E quel maledetto idiota glielo diceva solo adesso!
In un moto di offesa mista a rabbia, Lucci serrò le mascelle e si tirò su a sedere. Hattori tubò allarmato, come se potesse sentire la testa pulsargli furiosamente nello sforzo.
«Siamo ricercati dalla Marina...» ringhiò, fulminando il lupo con uno sguardo critico «E ve ne andate a zonzo per San Popula a fare teatro
Passassero Fukuro, Kumadori e lo scemo che aveva di fronte; ma Kaku, Califa e Blueno erano piuttosto conosciuti a Water Seven, che si trovava praticamente dietro l'angolo grazie al collegamento del treno marino. Il rischio che qualcuno li notasse e ne segnalasse la presenza non era affatto trascurabile.
«E tu gli hai permesso di farlo?!»
Restare nei pressi di Enies Lobby quando avrebbero solo dovuto andarsene il più lontano possibile. Esporsi a quel modo quando rimanere in incognito era la massima priorità.
Ignorare tutto ciò che avevano imparato al CP9, per chi aveva sempre lasciato indietro i deboli e i perdenti.
Di certo, erano i fratelli più stupidi che Rob Lucci si sarebbe mai aspettato di avere.
 
Top
view post Posted on 10/1/2017, 13:02
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


2rr1bft ~ Jabura


CITAZIONE
«Siamo ricercati dalla Marina...» ringhiò, fulminando il lupo con uno sguardo critico «E ve ne andate a zonzo per San Popula a fare teatro? [...] E tu gli hai permesso di farlo?!»

« Cosa dovevo fare, secondo te? Legarli? Proibirglielo? » contrattaccò Jabura alzandosi in piedi e ringhiandogli a un soffio dal volto. « Abbassa la cresta, lo stiamo facendo per salvarti il culo! » disse riversando in quelle parole tutto il disprezzo che aveva per l’arroganza dell’ex collega.
Idiota mentecatto deficiente figlio della merda. Pensava davvero che stessero facendo i buffoni in mezzo alla strada per hobby? E poi lui cos'era, un baby-sitter!?
« La vedi tutta svenevole, l’infermiera, e il dottore che si preoccupa… adesso. Senza soldi non volevano nemmeno toccarti… era il modo più rapido per farti curare da queste faine. Certo, se non ti fossi fatto ridurre a carne macinata da Cappello di Paglia non ce ne sarebbe stato bisogno… »

Faceva il presuntuoso? Si permetteva ancora di fare il pallone gonfiato? Allora facesse i conti con la realtà come li avevano dovuti fare loro, quando si erano trovati sotto la pioggia di San Popula senza nemmeno vestiti per coprirsi.
« Non abbiamo avuto scelta. Non eri un bello spettacolo, quando sei arrivato qua. » ghignò un po’, risollevando il morale duro di quel predicozzo. « In realtà non lo sei mai stato, diciamo che eri peggio del solito. »

Jabura non ricordava che qualcuno avesse deciso: “adesso aiutiamo Rob Lucci”. In un primo momento l’imperativo era stato rimanere insieme in attesa dei soccorsi; poi lui e Blueno erano andati a cercare qualcuno per aiutarli, e avevano sentito che erano tutti ricercati. Era tornato di corsa dal gruppo, li aveva presi e li aveva spinti verso le rotaie. Che doveva fare? Rimanere lì fermo mentre bombardavano quel cretino di Fukuro? O mentre arrestavano Califa che non si muoveva perché era nuda (che poi: PERCHÉ AVEVA COMBATTUTO NUDA? COSA SI ERA PERSO?)? O ancora, che deportassero Kaku che a mala pena stava in piedi, con certe ferite da taglio spaventose? O… o doveva aspettare che qualche Marine del cazzo mettesse le manette a lui, a Rob Lucci, mentre non aveva nemmeno più sangue per muoversi?

L’idea che quelli della Marina gioissero sulla loro cattura lo disgustava, e l’idea che Spandam li usasse per fare carriera o cavarsi d’impaccio lo mandava in bestia; conosceva bene i metodi del direttore: testimonianze truccate, dichiarazioni estorte, prove fasulle… non ci avrebbe messo niente a spedirli a Impel Down, nonostante per loro tutto quello fosse stato solo lavoro. Tutto era fallito perché quell’idiota voleva assistere alla sceneggiata tra Nico Robin e i suoi compagni! Andasse al cinema, non a capo del CP9!

Guardò il rivale con sufficienza e sfida. « Rimettiti steso, non impressioni nessuno. »
No, non lo impressionava. Era un assassino, era un predatore, la gente lui la sgozzava e certo non gli faceva schifo un po’ di sangue. Però cazzo, se ne aveva prese. Ne aveva prese tante da stupirsi se era ancora vivo. Jabura, nel percorrere le rotaie, non aveva mai degnato il rivale di molta attenzione, se ne occupava Califa, lui era impegnato a non far crepare Kaku… senza più il lenzuolo a coprirlo, vide sul corpo di Rob Lucci lo stesso spettacolo di fasciature, lividi e sangue che vedeva tutti i giorni su se stesso e gli altri, quando a fine giornata si leccavano le ferite a vicenda in una chiesa sconsacrata.

Un conto erano quelli che gli dicevano di uccidere, carne da macello di cui gl’importava poco.
Un altro conto era vedere in quelle condizioni i suoi colleghi…
A proposito, quella notte avrebbe fatto lui il primo turno di guardia, pensò scocciato.

Andò verso la finestra aggiustandosi i pantaloni. « E vedi di mostrare un minimo di riconoscimento agli altri. Soprattutto a quell'idiota di Kaku e a quella santa donna di Califa, che ha fatto da ragioniere con i nostri spiccioli e non riesce a chiudere occhio tra te che fai il bell'addormentato e il timore che venga a prenderci la Marina. »

Edited by Yellow Canadair - 10/1/2017, 13:19
 
Top
view post Posted on 13/1/2017, 21:25
Avatar

The storm is approaching

Group:
Admin
Posts:
11,895
Location:
Red Grave

Status:


mI6864x
Rob Lucci

Un brivido di rabbia gli attraversò la schiena non appena Jabura cominciò a ringhiargli ad un palmo dal naso.
Lucci digrignò i denti, i pugni stretti e formicolanti sulle ginocchia.
Come osava, quel bastardo d'un cane, venirgli a fare la predica?
Solo perché era costretto a letto, pensava di potersi prendere la libertà di usare quel tono con lui?
Cinque anni trascorsi lontano dai pestaggi, a fare il signore al Palazzo di Giustizia, dovevano avergli fatto montare la testa. Ma lo avrebbe riportato coi piedi per terra molto volentieri.
Hattori intuì subito le sue intenzioni. Gli saltò in grembo, agitò le ali per dissuaderlo dal compiere movimenti bruschi e tubò arrabbiato verso Jabura. In assenza del resto del gruppo, toccava a lui scongiurare la rissa (ammesso che il suo padrone fosse riuscito a iniziarla).
Lucci ignorò le proteste del piccione, ma la sua collera fu stemperata proprio dal racconto dell'ex collega, dalla verità sbattutagli in faccia in tutta schiettezza.
Ripensò a poco prima, quando Jabura aveva detto che erano ricercati.
In quel momento aveva creduto di non poter cadere più in basso. Una volta che aveva perso il lavoro di una vita, che era stato tradito da un verme come Spandam, niente avrebbe potuto ferire di più il suo orgoglio.
Si sbagliava.
Ripensare alla sconfitta contro Cappello di Paglia, realizzare che le sue tecniche non erano state all'altezza dell'avversario, che per la prima volta era stato lui, il debole: ognuna di quelle prese di coscienza era una lama che continuava a infierire dall'interno. E Lucci sapeva, anche senza morfina in circolo, che quelle ferite invisibili avrebbero bruciato molto di più e molto più a lungo di qualsiasi altra ben in vista sul suo corpo.

CITAZIONE
« Non abbiamo avuto scelta. Non eri un bello spettacolo, quando sei arrivato qua. » ghignò un po’, risollevando il morale duro di quel predicozzo. « In realtà non lo sei mai stato, diciamo che eri peggio del solito. »

Eppure non riuscì a rinfacciare al bastardo che un'altra scelta l'avevano avuta eccome. Anzi, avevano volutamente scartato la strada più sicura e razionale per impelagarsi in una missione di salvataggio.
Lucci non comprendeva appieno quel gesto, ma era grato di essere vivo.
Vivo per rimediare all'errore. Vivo per migliorarsi, per prendersi la sua personale vendetta su Spandam e saldare i conti con Monkey D. Rufy.
Vivo anche per restituire a lui e agli altri un impiego degno di questo nome. Per menare Jabura e spegnergli quell'odioso ghigno dalla faccia, non appena ne avesse riavuto la facoltà.

CITAZIONE
« Rimettiti steso, non impressioni nessuno. [...] E vedi di mostrare un minimo di riconoscimento agli altri. Soprattutto a quell'idiota di Kaku e a quella santa donna di Califa, che ha fatto da ragioniere con i nostri spiccioli e non riesce a chiudere occhio tra te che fai il bell'addormentato e il timore che venga a prenderci la Marina.

«Non dirmi cosa devo fare, cane» sibilò, sostenendo lo sguardo di sfida del lupo e seguendolo mentre si allontanava da lui.
Il dolore alla testa, in quella posizione, era tale da dargli la nausea, ma restare seduto con la schiena dritta rappresentava una questione di principio, a quel punto.
E poi voleva uscire dall'ospedale sulle sue gambe il prima possibile. La convalescenza poteva farla altrove, senza gravare su nessuno, lasciando a Kaku i soldi per pagarsi le cure e dando a Califa una preoccupazione in meno.

In perfetto tempismo con quegli ultimi pensieri, Lucci udì un vocio concitato provenire dal corridoio.

«Volete abbassare la voce? Se l'infermiera scopre che siamo saliti tutti insieme, ci farà buttare fuori!»
«AH! DEPLOREVOLE, IGNOBILE INGIUSTIZIA!!»
«Sono le politiche dell'ospedale...»
«Indecenti come molestie sessuali.»
«Chapapa! Jabura ha detto che sono delle politiche del caz-»
«Sappiamo che cosa ne pensa lui! Ora, possiamo entrare in silenzio, per favore?»
 
Top
view post Posted on 16/1/2017, 18:01
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


2rr1bft ~ Jabura

CITAZIONE
« Non dirmi cosa devo fare, cane. »

« Lupo. Vai a farti fottere. »
Jabura era a corto di insulti, a quel punto, e di litigare non aveva voglia; gli avrebbe ricacciato in gola la sua arroganza a suon di cazzotti, ma facendolo avrebbe azzerato gli sforzi dei suoi compagni per rimetterlo in piedi… e per non essere rispedito a calci sulle piazze a fare il buffone, decise di rimandare ogni rissa.
Si appoggiò con i pugni sul davanzale e guardò fuori, distogliendo lo sguardo dall’infame.
Anche perché diciamocelo, che gusto c’era a fare a pugni con l’idiota, se quello a mala pena si muoveva? Non si abbassava mica a certi livelli come faceva il direttore! …ex direttore.

CITAZIONE
«Volete abbassare la voce? Se l'infermiera scopre che siamo saliti tutti insieme, ci farà buttare fuori!»
«AH! DEPLOREVOLE, IGNOBILE INGIUSTIZIA!!»
«Sono le politiche dell'ospedale...»
«Indecenti come molestie sessuali.»
«Chapapa! Jabura ha detto che sono delle politiche del caz-»
«Sappiamo che cosa ne pensa lui! Ora, possiamo entrare in silenzio, per favore?»

FINALMENTE! Perché avevano tardato tanto?

Le voci arrivarono molto vicine alla porta e, prima di entrare, ci furono dei secondi in cui il volume scemò fino a sparire. Succedeva sempre così: casino totale nei corridoi e poi, a mezzo centimetro dalla porta, silenzio assoluto come se si entrasse in chiesa. Jabura quasi riusciva a vedere Fukuro che si chiudeva la zip e Califa che cominciava a camminare sulla punta delle scarpe per non far ticchettare i tacchi.
La maniglia si abbassò (Kaku, sicuramente Kaku) e un nasino molto delicato fece capolino dallo spiraglio; ciocche rosa spinsero di più la porta e infine essa si aprì.

Jabura si sedette sul davanzale per godersi la scena.

Il primo fu Kaku, che aveva aperto la porta: il volto guardingo e velato dalla preoccupazione si aprì in un sorriso che contagiò occhi, naso, orecchie e persino il cappellino, roba da far invidia ai mocciosi che si faceva scivolare addosso.
Califa spalancò la bocca truccata in una modesta “O” muta, che coprì subito con la mano per pudore.
Blueno sollevò le sopracciglia e piegò la testa di lato. Sempre tanto espansivo, lui.
Fukuro alzò le braccia al cielo, si aprì la zip e cominciò a parlare: « Chapap- »
« IL MIRAAAAAAACOLO È DUNQUE AVVENUTO! MADRE! MADRE E TUTTI GLI ANGELI CHE TI ACCOMPAGNANO NELLA TUA VITA ULTRATERRENA! MIRAAAAAAACOLO!!! GRAZIE! NOI TI RINGRAZIAMO A GRAN VOCE! GRAZIE PER AVERCI RESTITU- »
« DACCI UN TAGLIO, KUMADORI! » riuscì a sovrastarlo Jabura sollevandolo di peso dal pavimento. « Non ho intenzione di farmi sbattere di nuovo fuori! E quello là sta su davvero per miracolo, quindi piantala di urlare! »
Kumadori spalancò gli occhi. « Quello che dici ha assolutamente senso! »
« …e vorrei ben dire. »
Guardò preoccupatissimo verso Rob Lucci e infine declamò: « Sono stato così privo di assennatezza! Ah scellerato! Farò seppuku per rimediare al mio errore! »
« Fallo in silenzio! » gridò Jabura.
Intanto gli altri si erano avvicinati, felici ma esitanti, all’amico appena sveglio. Hattori, in bilico sul ciglio del materasso, faceva da body guard e impediva a tutti di avvicinarsi troppo, sbattendo le ali quando qualcuno parlava con voce un po’ troppo alta.
« Va bene, va bene, ho capito! » sorrise Kaku sussurrando e tranquillizzando quel piccolo Argo, fedele in ogni situazione. Poi considerò: « Ma se è appena uscito dal coma… che diavolo ci fa già seduto? » domandò al piccione, per poi spostare lo sguardo sul collega nel letto. I giorni precedenti i dottori non avevano fatto altro che spiegargli che, subito dopo il risveglio, sarebbe stato difficile per lui anche solo cambiare posizione nel letto…!
Califa, ben dritta sulle spalle e al sicuro dietro le sue lenti, scandì fredda: « Porgo le felicitazioni dello staff del CP9 » non sapeva che Lucci era già al corrente delle ultime novità, così aveva mantenuto il vecchio nome del gruppo.
Fukuro aprì di un nonnulla la sua zip e sussurrò: « Chapapa, è così formale, ma in realtà sta tremando! Ha avuto paur- » un calcio molto formale gli tappò la bocca.

Jabura guardava il gruppetto che faceva le feste al leader. E poi “cane” lo dicevano a lui! Bah! Poco mancava che scodinzolassero, altro che “agenti freddi e distaccati”! Però, doveva riconoscere, negli ultimi quattro giorni erano cambiate tante cose, e avevano dovuto fare i conti con tante paure che credevano essere cancellate per sempre, e altre ancora che non avevano mai creduto di poter avere. Si prendessero quel momento, sperando che quell’insensibile non li silurasse con qualche cattiveria delle sue.

La porta della stanza, chiusa da Blueno quando erano tutti entrati, si aprì e la corpulenta infermiera dai tacchi a spillo e le autoreggenti a rete si palesò sull’uscio.
« L’orario di visite non è ancora- » cominciò subito Jabura, sulla difensiva.
Ma l’infermiera lo ignorò. « Il direttore dell’ospedale manda un messaggio ai degenti e ai loro familiari. » disse preoccupata. « Non toccate e non cercate di sradicare i tentacoli vegetali che escono dalle prese elettriche e dalle prese d’aria. Segnalateli al personale. Stiamo provvedendo a chiamare degli specialisti. » e uscì dalla stanza in tutta fretta, probabilmente diretta verso altre camere.

Edited by Yellow Canadair - 16/1/2017, 21:48
 
Top
view post Posted on 24/1/2017, 21:22
Avatar

The storm is approaching

Group:
Admin
Posts:
11,895
Location:
Red Grave

Status:


mI6864x
Rob Lucci

Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di provare in un'anonima stanza d'ospedale, ma accadde davvero. Mentre Kaku gli sorrideva e Califa e Blueno mascheravano il senso di sollievo nel pudore e nel contegno; mentre Fukuro si scuciva la cerniera e Kumadori gridava al miracolo, ringraziando la madre defunta e venendo sovrastato prontamente da Jabura (che finì per fare più chiasso di tutti); Lucci si sentì a casa.
Era una sensazione che poche volte aveva provato ad Enies Lobby e in nessuna occasione a Water Seven, ma in quel momento gli parve chiaro che il posto in cui si trovava avesse poca importanza. Contava solo chi divideva la stanza con lui.

CITAZIONE
« Ma se è appena uscito dal coma… che diavolo ci fa già seduto? »

Evitò di rigirare la domanda e chiedere a Kaku che diavolo ci facesse alzato, con la pessima cera che aveva. Idem per Califa, che appariva pallida e stanca, due ombre scure sotto gli occhi che non ricordava di averle visto nemmeno dopo le lunghe notti trascorse a setacciare il palazzo di Iceburg, alla ricerca dei progetti dell'arma ancestrale.
Jabura abbaiava spesso a sproposito, considerò Lucci, ma aveva detto il vero sui due colleghi più giovani. Era lampante quanto fossero stati provati dai recenti avvenimenti.

CITAZIONE
« Porgo le felicitazioni dello staff del CP9 »

Lucci rimase chiuso nel silenzio, scrutando il volto della donna. Quasi non fece caso alle parole di Fukuro e al modo in cui venne zittito prima di poter completare la frase.
Spostò lo sguardo su Hattori e lo accarezzò distrattamente.
«Ex CP9.» Rettificò. «Dillo pure.»
Califa ammutolì. Gli occhietti di Fukuro guizzarono ad un angolo della stanza, rifuggendo ogni contatto visivo. Blueno strinse appena le labbra e fissò il pavimento. Kaku, dopo un attimo di sorpresa, si voltò scocciato verso Jabura incrociando le braccia sul petto. «Non potevi proprio aspettare a dirglielo, eh?»
«Ha aspettato anche troppo» lo apostrofò Lucci.
Non aveva bisogno di inutili premure.
Non sopportava che gli indorassero la pillola, che aspettassero il "momento opportuno" per comunicargli quanto fosse disastrosa la realtà dei fatti. La Marina non avrebbe aspettato; Spandam non avrebbe aspettato: Lucci se li immaginava già, pronti come gli sciacalli ad approfittare della loro debolezza, e non aveva la minima intenzione di farsi trovare impreparato.
Allora Califa si rassettò la montatura degli occhiali, recuperando il suo autocontrollo. «Volevamo parlartene insieme, non appena ti fossi svegliato.»
«La colpa è nostra» sospirò Kaku, lanciando a Jabura un'occhiata risentita. «Non avremmo dovuto lasciarlo con lui.»
«Non volevamo!» cantilenò Fukuro «Ma Jabura oggi si è rifiutato di fare il numero del lupetto che salta nel cerchio di fuoco. Si vergognava troppo! Chapapa!»
Lucci, che di solito non prestava attenzione ai frivoli pettegolezzi del collega, o quantomeno non si abbassava a commentarli, si ritrovò a domandare al lupetto: «E ti pagano pure, per assistere a questa scemenza?»
Kaku ridacchiò sotto il colletto della camicia. Blueno, nello stesso istante, confermò con un sorriso appena accennato: «Bambini e ragazzi lo adorano.»
«Nel solo pomeriggio di ieri ha guadagnato più di tutti» riferì puntale Califa.
Probabilmente tra poco Fukuro sarebbe stato pestato (e Kumadori avrebbe imbastito un casino per assumersi le sue colpe e pagarle con la vita), ma vedere i volti dei compagni di nuovo sereni... beh, non era male.

Poco dopo, l'infermiera in calze a rete ruppe l'atmosfera spensierata con una comunicazione.

CITAZIONE
« Non toccate e non cercate di sradicare i tentacoli vegetali che escono dalle prese elettriche e dalle prese d’aria. Segnalateli al personale. Stiamo provvedendo a chiamare degli specialisti. »

Una comunicazione strana e un po' sinistra, considerando il tono serio con cui era stata annunciata.
«Tentacoli vegetali...?» ripeté perplesso Kaku quando la donna scomparve di nuovo dietro la porta.
«Ne ho visto uno nella sala d'attesa, strisciava sotto il divano. Chapapa!»
Lucci ricordava di aver letto qualcosa, diversi anni prima, a proposito di fioriture straordinarie manifestatesi a San Popula alla fine della stagione invernale. "IL RISVEGLIO DELLA REGINA DI PRIMAVERA" o qualcosa del genere, recitava il titolo del giornale sulla scrivania del sindaco di Water Seven. Non ci aveva prestato molta attenzione allora, e anche adesso, mentre faticava a stare seduto sul letto, non gli pareva una questione così rilevante.
Forse avrebbe cambiato idea sapendo cosa si annidava dentro i condotti dell'aria, proprio in quel momento, sopra le loro teste.


L'unico del gruppo a tenergli compagnia oltre l'orario delle visite fu Hattori. Lucci chiese ad un'infermiera del turno di notte di lasciare socchiusa la finestra -anche se nella stanza si gelava- per consentire al colombo di sgattaiolare dentro e dormire con lui.
Dal giorno successivo non ebbe più bisogno di chiedere: arrivò alla finestra con le sue gambe. Un po' a fatica, talvolta dovendosi appoggiare alla spalliera della sedia o alla piccola scrivania di fianco al letto, Lucci camminava fino alle tende, le scostava e apriva ad Hattori ogni volta che ne aveva occasione, dopo il passaggio di routine dei medici e delle infermiere. La mattina del secondo giorno fu ancora più veloce nel farlo, zoppicando sempre meno; e la sera riuscì a scrollarsi di dosso ogni residuo di polvere che si trascinava da Enies Lobby, sotto la doccia.
Le infermiere che si occuparono di rifargli le medicazioni erano strabiliate dalla sua ripresa e concordi nel ritenere prossime le sue dimissioni. Un'altra settimana al massimo, dicevano. Ma quando, diverse ore più tardi, delle grida si levarono dai corridoi, risalendo la tromba delle scale e squarciando il silenzio dell'intero reparto, Lucci capì che la sua permanenza all'ospedale di San Popula era destinata a concludersi molto prima.

«Bisogna evacuare l'intero piano, sbrigatevi!!»
«Ma signore...! Molti pazienti non sono ancora in grado di muoversi!»
«Portateli giù sulle barelle!»
«L'ascensore è fuori uso, dottore, i tentacoli hanno invaso l'abitacolo!»
«...E le scale tra poco saranno inagibi...AHH!!»
«NON AVVICINATEVI ALLE FINESTRE!! Maledizione, quante volte devo ripeterlo?!»

Lucci scattò a sedere nel buio della sua stanza. Quasi si aspettava di trovare Kumadori inginocchiato al suo capezzale a invocare i santi e sua madre, e invece le urla appartenevano proprio a dottori e infermieri.
Che diavolo di problemi avevano, là fuori?
Hattori tubò spaventato, indicando la finestra. Regnava la penombra, eppure sembrava che all'esterno il sole fosse già sorto.
Lucci consultò le lancette dell'orologio a muro, gli occhi che brillavano come quelli di un gatto. Le sei del mattino: qualcosa non tornava.
Si alzò dal letto e andò alla finestra per accorgersi che effettivamente qualche raggio di luce trapelava; tutto il resto veniva ostacolato dalle foglie, dai rovi e dai grotteschi tentacoli verdi che strisciavano come serpenti sulla facciata dell'ospedale.
«Signor Rob!» proruppe la corpulenta infermiera dai tacchi a spillo, spalancando la porta della camera. Imbracciava un'ascia di emergenza e, coi capelli arruffati e le calze smagliate, sembrava reduce di un corso di sopravvivenza intensivo. «Per fortuna è ancora intero!»
«Che sta succedendo?» chiese Lucci, interdetto da quelle parole ma non realmente preoccupato.
«La Regina di Primavera... s'è destata» rispose lei in un sussurro greve, raddrizzandosi sul naso gli occhialini che avevano perso una lente. «Speravamo che non fosse così, del resto siamo ancora in pieno inverno, ma non si può mai sapere quando...»
Un grido di terrore alle sue spalle la interruppe. Lucci scorse un tentacolo saettare sul pavimento del corridoio e un attimo dopo ricomparire, trascinando il corpo di un infermiere urlante per una caviglia.
«Resisti caro!» gli urlò dietro la collega. Impugnò saldamente l'arma e si rivolse nuovamente a Lucci «Devo andare! Faccia presto, Rob, scenda al piano terra finché le scale sono agibili, stiamo evacuando l'edificio! E stia attento ai boccioli rossi: sputano aculei velenosi!»
Lucci l'ascoltò borbottare ancora, mentre andava via: «E credono di averli a Water Seven, i problemi, con qualche goccetta d'acqua!»
Forse si riferiva all'Acqua Laguna.
Si pentì di non aver letto meglio l'articolo sul giornale di Iceburg, quella volta di tanto tempo addietro. E di non aver segnalato al personale i maledetti tentacoli che fino al giorno prima sbucavano placidi e innocui dal bocchettone per il ricircolo dell'aria, e che ora... ora tentavano di stritolare Hattori.
«Rankyaku.»
Gli partì in automatico: debole, impreciso, doloroso soprattutto. Ma riuscì a tranciare l'estremità del tentacolo e a liberare il piccione, che atterrò tremante vicino alla finestra.
«Devi uscire di qui» ordinò Lucci, arrancando verso il davanzale.
Hattori protestò, come a dire che sarebbe stato più attento, che non voleva lasciarlo lì nel bel mezzo di un'emergenza.
Ma Lucci non voleva sentire storie. «Devi tornare dagli altri, subito.»
In effetti, si chiese come se la stessero passando i compagni. Quel problema poteva riguardare tutta la città, non solo l'ospedale.
Infilò le mani nel groviglio di foglie e rovi che barricavano la finestra e fece forza per districarli. Bastava un piccolo spazio a far passare Hattori, ma la Regina di Primavera, o qualunque cosa fosse la creatura tentacolare, non gradì le sue maniere e drizzò letteralmente le spine, conficcandogliele nei palmi.
Il colombo si agitò e indietreggiò preoccupato; Lucci però non si ritrasse, al contrario, forzò ancora di più per allargare il passaggio.
«Vai! Conto su di te.»
A quelle quattro parole magiche, Hattori smise di tremare. S'impettì, tubò con determinazione e oltrepassò i rovi, sporcandosi di sangue contro le mani di Lucci e spiccando il volo all'esterno, nell'aria frizzante del mattino. Solo allora l'ex leader del CP9 si allontanò dalla finestra e abbandonò la stanza di degenza.
Aprirsi una via di fuga senza poter contare sulle sue Rokushiki non si preannunciava tanto semplice.
 
Top
view post Posted on 10/2/2017, 14:08
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


2rr1bft ~ Jabura

Nel quartiere Dorsoduro c’erano un sacco di case abbandonate.
Era una zona che era stata tirata su almeno duecento anni prima, quando San Popula non era che un villaggio, il treno marino non esisteva, Gold Roger non era nemmeno stato pensato e la vita era più lenta, più semplice.
Il quartiere Dorsoduro era stato il quartiere portuale dell’antica San Popula, e uscendo da vicoli stretti e bui si arrivava direttamente sul mare, sui moli, dove carpentieri inesperti, più falegnami che ingegneri, varavano piccole navi per portare la gente a Water Seven e San Faldo.
Poi San Popula aveva cominciato a cambiare, altri quartieri erano nati e, pian piano, la gente aveva abbandonato Dorsoduro e le case erano sorte attorno alla chiesa più grande e attorno al nuovo porto. Poi, più recentemente, di fianco al nuovo porto era stata costruita anche la stazione del Puffing Tom e per Dorsoduro era stato l’atto finale.
Adesso non vi abitavano che pochi anziani, che camminavano lenti tra i vicoli in cui erano nati e cresciuti, e guardavano con occhi mesti i palazzi e le chiese sconsacrate che costellavano il quartiere.
Sembrava un luogo abbastanza triste, eppure era in quella zona che sei poveri cristi scampati a un bombardamento avevano ritrovato una parvenza di tranquillità.
Una tranquillità incerta, sempre con l’incubo che qualcuno facesse la spia e li venisse a rastrellare, ma pur sempre tranquillità. Dorsoduro, proprio perché abitato soltanto da un centinaio di innocui anziani, non richiamava mai l’attenzione della Marina.

La notte in cui erano arrivati a San Popula, i ragazzi del CP9 erano sgattaiolati di vicolo in vicolo, di androne in androne, e infine avevano trovato riparo nella vecchia Cappella degli Accovati, una chiesa sconsacrata che sorgeva vicino al vecchio porto, un po’ nascosta da altre case.
Non era un grand’hotel, ma quando la sera, stanchi, attraversavano la navata centrale sotto lo sguardo sbiadito dei santi in corteo e s’infilavano nella canonica, erano contenti.
Avevano solo sei materassi, un tavolino sbilenco e un caminetto rimesso in funzione con tanta fatica da Kaku e da Blueno. In poche ore si erano impossessati di quel posto e avevano cominciato a chiamarlo “casa”, anche se non c’era nessuna delle comodità cui erano abituati.
I materassi li avevano rimediati da un robivecchi, le coperte le avevano rubate nella lavanderia dell’ospedale dove avevano lasciato Lucci (“rimborso spese”, aveva sentenziato Jabura), l’acqua la dovevano andare a prendere alla fontanella della piazzetta, nel cuore della notte per non farsi vedere. Non c’era privacy, e Califa si andava sempre a cambiare nei confessionali per non farsi vedere da nessuno.
Ma dopo aver lottato, essere stati sconfitti, aver vagato per mare e per terra, aver lavorato ed essersi umiliati sotto la pioggia, non c’era niente di più bello che tornare a casa.
A sera, per la stanchezza, Fukuro non ciarlava, Jabura non litigava, e Kumadori non tentava il suicidio. Si sentiva solo la risacca in lontananza e le stelle che tremavano nel cielo.

Jabura quella notte era stato di ronda. Aveva girovagato in tondo fra le navate della chiesa ascoltando il vento infilarsi tra le vetrate rotte, era uscito sul sagrato deserto, aveva annusato l’aria tra i vicoli completamente mutato in lupo. Niente. Tutto taceva a Dorsoduro. Era un compito noioso quanto necessario. L’agente sapeva benissimo che chiunque poteva riconoscerli, che chiunque poteva seguirli, che chiunque poteva fare la spia e mandare qualcuno ad arrestarli. La tranquillità di chi dormiva dipendeva dalla perizia di chi vegliava.
Era per quello che Jabura non si risparmiava quando era il suo turno, non toccava alcolici prima di montare la guardia e quando si accorgeva di morire di sonno cominciava a camminare, camminare, camminare. Sapeva che nessuno dei suoi compagni faceva diversamente. E la notte passava così, senza scossoni, cullati dalla pioggia e dal mare, e pian piano l’oscurità si diradava facendo strada alle mattine rosate di San Popula, col sole che emergeva dal mare e poi si nascondeva dietro alle basse nuvole grigie del tempo capriccioso.

Come una freccia scoccata dall’arciere, Hattori volava sopra i tetti umidi di San Popula, veloce, sempre più veloce, fino a dover chiudere gli occhietti per proteggersi dal freddo tagliente del mattino. Li apriva solo un attimo per controllare la rotta e poi via ancora più rapido, senza badare al vento che asciugava il sangue sulle sue piume bianche. Vedeva i tetti, vedeva il nastro lucido e grigio delle strade, vedeva i rampicanti che s’impossessavano voracemente di alberi, lampioni, uscivano dai tombini e stringevano, ghermivano, sfondavano. Stringeva gli occhi anche per non pensare a Rob Lucci che si faceva male solo per permettergli di scappare via. Ed ecco, finalmente, il quartiere della stazione scivolò via, dietro la coda, e anche la zona residenziale, via, via anche lei, e finalmente in lontananza ecco apparire Dorsoduro!
I rampicanti sembravano diminuire, ma Hattori sapeva che non c’era da fidarsi.

Mai a essere vivente delle case abbandonate e delle finestre nere furono sembrate più belle e splendenti! Hattori prese ancora più velocità e s’infilò nel vento, il rosone lercio della Cappella degli Accovati gli diede il benvenuto nel suo silenzio e il piccolo colombo si lanciò a tutta velocità sulla destra dell’abside dove, sapeva, c’era un’intercapedine che conduceva ai vecchi alloggi del parroco. Sbucò vicino all’armadio con i paramenti e poi fece irruzione nella canonica buia.
Ai suoi versi disperati fecero eco diversi mugolii.
Sì, Hattori lo sapeva, era presto, loro erano stanchi, ma non gl’importava nulla! Volò in cerchio sopra gli agenti addormentati, atterrò sul tavolo e rovesciò le bottiglie che c’erano sopra.
Jabura aprì un occhio, pigramente. Metà di lui era teneramente abbracciata a Gatherine, residuo di chissà che sogno, e voleva continuare a godersela finché riusciva. Si ficcò con la testa sotto la coperta, abbracciò meglio la donna (che in realtà era Fukuro) e continuò a ronfare.

Hattori volò in tondo sopra gli agenti, maledicendo la natura per avergli dato un verso così poco stridulo e decisamente inadeguato per svegliare le persone! Beccò la zazzeretta di Fukuro, zampettò furioso sul sedere di Kumadori, tirò i lunghi capelli di Jabura.
« Cazzo c’è!?! » si tirò su a sedere Jabura, alla fine. Fanculo, già era un miracolo gestire dei capelli così lunghi senza l’acqua corrente in casa, adesso ci si metteva pure quello stupido piccione? Maledetto lui e il suo padrone! Li tirò all’indietro e cercò di sistemarseli in una momentanea treccia, giusto per evitare che il diavoletto bianco li annodasse del tutto.
« Hattori! » fece irruzione Blueno nella stanza. Lui era di guardia in quel momento, e aveva notato il piccolo piccione, riconoscibilissimo nel piumaggio e unico nel cravattino, volare a missile sopra Dorsoduro. Hattori, sentendosi finalmente ascoltato, riprese il volo e svolazzò isterico davanti al naso dell’uomo, tubando furiosamente, poi tornò da Jabura.
Intanto Califa si era alzata, già perfettamente pettinata e aggiustandosi gli occhiali si era avvicinata con Kaku all’animaletto, vicino al materasso di Jabura, ancora seduto lì.
« Hattori! » invocò l’ex carpentiere. « Lucci? È successo qualcosa? »
Il colombino si voltò verso Kaku e questi dovette prenderlo al volo: Hattori aveva smesso di volare all’improvviso e si era afflosciato, esausto e angosciato, tra le sue mani. Scoppiò a piangere.
« Questo è sangue. » riconobbe subito il ragazzo. Le macchie ormai color ruggine spiccavano sulle piume candide.
« SANGUE! sangue giù dal vertice del capo, stillava e, lungo l'ossa, le carni, pari a lagrime di pino, scorrevano. Orrore era guardar- »
« È successo qualcosa all’ospedale. » capì Jabura.
Hattori era disperato: come far capire agli altri dei rampicanti, dell’ospedale sotto assedio, e le spine, e Lucci che l’aveva fatto scappare? Era bravo a comunicare, per essere un colombo, ma quelle erano cose troppo complicate!
Notò Jabura che lo guardava fisso e minaccioso. « Hattori. » lo richiamò. « Quel sangue è di quell’idiota di Lucci? »
Hattori lasciò perdere il gentile appellativo e si affrettò a muovere il capino su e giù. Sì! Sì!
« La Marina? L’ha scoperto? » si allarmò Califa.
No, no, niente Marina, negò Hattori.
« Va bene. » prese il controllo Jabura. « Non c’entra la Marina quindi non siamo stati scoperti. Califa. L’ora. »
« Sono esattamente le cinque e cinquantaquattro. »
« Non c’è nessuno in giro. Andiamo all’ospedale. Subito. »

Dall’alto del Geppo, gli agenti videro mano a mano sempre più tentacoli verdi che uscivano dai tombini, dalle fessure tra le mattonelle, dalle cassette delle lettere. Dove c’era un’aiuola, o un parchetto, era ormai una massa impraticabile di tentacoli che si erano aggranchiati agli edifici più vicini. Hattori volava in testa al gruppo, deciso a raggiungere il suo fedele amico e tallonato da Jabura, Kaku, e poi tutti gli altri.
« La situazione in città è degenerata. » gridò Kaku per sovrastare la velocità.
« L’area dell’ospedale è vicina al parco cittadino. » considerò Califa. « Non vorrei che- »
« FERMI! » gridò Jabura. « Hattori, fermo! »
Gli agenti si fermarono sul tetto della cattedrale, scivolarono un po’ sulle tegole umide e poi si bloccarono costernati a guardare verso il leggero colle sul quale sorgeva l’ospedale.

La Regina della Primavera si stava riprendendo San Popula. Le strade erano invase dai rampicanti e si levava una leggera nebbia umida. San Popula era diventata, da ridente cittadina, una giungla nebbiosa.
C’erano poche persone per le strade, alcune trasportavano grossi valigioni, altre emergevano dalle finestre e le serravano con assi di legno.
« Sembra che l’epicentro sia localizzato nel parco pubblico. » individuò Califa, guardando davanti a sé: oltre l’intrico di rami che era diventato il parco, si intravedeva la facciata dell’ospedale strizzata tra i tentacoli.
Hattori scalpitava per proseguire.
« Aspetta, non possiamo caricare a testa bassa… » lo chetò Kaku.
« Bisogna fare il giro. » risolse Jabura. « È inutile attraversare il parco, facciamo prima se aggiriamo la collina. »
A piedi sarebbe stato lungo, ma con il Geppo era più dirsi che farsi.

Ai piedi dell’ospedale il clima era di guerra: barellieri che correvano con le portantine trasportando degenti più o meno gravi, sedie a rotelle che sfrecciavano inseguite da rampicanti, infermieri bellicosi che li accolsero con un caloroso: “Ehi! Fuori dai piedi, ce la caviamo benissimo!” prima di essere trascinati via.
« Forse l’hanno già portato fuori… » ipotizzò Kaku, osservando Hattori che volava in cerchio nel tentativo di localizzare Rob Lucci tra le persone già evacuate.
« No! Abbiamo portato fuori i pazienti cominciando dalla pediatria, dalla terapia intensiva e dalle gestanti! » spiegò, con il fiatone, la corpulenta infermiera dalle calze a rete con la quale ormai avevano fatto amicizia. Le calze a rete erano un ricordo, il camice era sbrindellato e portava in braccio un bambino che sgranocchiava un tentacolo secco.
« Lucci è ancora dentro?! »
« Sì, gli ho detto di raggiungere le scale… gli ascensori sono fuori uso… e tu smettila, non puoi mangiare questa robaccia! » sgridò il bimbo.
« Blueno! » ringhiò Jabura. « Ti ricordi dov’è la stanza di Lucci? Fammi entrare lì. »
Kaku si calcò il berretto sugli occhi. « Lo portiamo fuori immediatamente. »
Qualcuno tubò con fare battagliero.
« Hattori, preferisco che tu rimanga fuori. » considerò infine Kaku. « È più sicuro. »
Hattori non era mica tanto d’accordo.
« Vuoi farlo preoccupare ancora di più? » sputò Jabura fulminando il colombino. Hattori si fermò a considerare quell’ipotesi, ma si vedeva che non gli andava giù neanche un po’. Jabura, dal canto suo, non aveva tempo da perdere facendo da baby sitter al piccione.

Le piante avevano infestato l’edificio, uscivano dalle prese di corrente, dai bocchettoni d’aria, persino dai macchinari e dagli armadietti, e formavano una foresta umida e minacciosa. Nella stanza che era stata occupata dal leader, il letto era divelto, la finestra serrata dai rampicanti e la porta scardinata. Sul muro, il taglio netto di un Rankyaku e un tentacolo avvizzito per terra.
Jabura si avvicinò al solco. Aveva un’esperienza pluridecennale, e sapeva benissimo che quel colpo non era minimamente paragonabile a quelli che scagliava il Rob Lucci che conosceva. “In via di dimissioni” forse, ma il bellimbusto era ancora ben lontano dal riprendersi del tutto; in condizioni normali, quella parete non ci sarebbe nemmeno stata più.
« Dividere il gruppo è doloroso ma necessario, bisogna ritrovare Rob Lucci prima possibile. » declamò Kumadori.
« No, non tutti. » lo fermò Kaku. « Blueno è l’unica possibilità che abbiamo per uscire da qui. »
« Ma sei scemo? Basta un Rankyaku fatto per bene e usciamo all’istante. » affermò Jabura calcando sul “per bene”.
« Farà crollare il palazzo, e se c’è ancora gente dentro indovina di chi sarà la colpa? Non siamo più agenti governativi, e comunque anche quando lo eravamo non potevamo fare stragi ingiustificate! » lo bacchettò Kaku.
« Chapapa… ogni tanto è successo… »
« Fukuro, chiuditi la zip! » ordinò Jabura.
« Abbandonata la stanza, Rob Lucci si sarà diretto verso le scale. » scandì Califa. « Quelle principali o le scale antincendio. »
« Allora facciamo così: cerchiamo un luogo che sia meno infestato, e lasciamo lì Blueno e due di noi per avere una via di fuga sicura dalle piante. » pianificò Jabura. « Credo potrebbe essere la zona del bar di questo piano, non è lontana e mi ricordo che c’era uno slargo abbastanza grande dove c’erano anche i tavolini. »
Il gruppo annuì e nessuno fece osservazioni sulla perizia di Jabura in materia di bar.
« Gli altri si dividono. Ognuno di noi è in grado di gestire una cazzo di pianta in autonomia, no? »
« Non fate movimenti bruschi. Usate il Soru. » ricordò a tutti Kaku. « E attenti ai baccelli velenosi. »
« “…sparano dardi avvelenati”, chapapa » recitò Fukuro, ricordandosi di quello che in città di diceva sempre di quei fiori.

Lasciato Blueno con Fukuro nella zona del bar, Kumadori, Califa, Kaku e Jabura si divisero per cercare il loro amico. Jabura stava percorrendo il terzo piano, potando qualche ramo che gli dava fastidio e litigando con infermieri e pazienti intrappolati che gli chiedevano se cortesemente potesse tirarli giù da dove la pianta li aveva legati.
L’umidità che portava quel vegetale stava diventando insopportabile, sembrava davvero di stare in qualche isola dal clima tropicale, e a momenti si rischiava persino di scivolare sul pavimento!
Aveva capito a sue spese che gridare per chiamare Lucci poteva essere fatale: la pianta ci sentiva benissimo e ogni volta che alzava la voce si ritrovava con qualche rampicante pericolosamente vicino al collo, e aveva definitivamente desistito quando la pianta gli aveva sparato contro dei dardi, che si erano conficcati nel muro alle sue spalle. Vegetale di merda! Con quale udito, poi?

Mai che quell’idiota di Rob Lucci se ne stesse fermo e calmo da qualche parte! La stanza non era compromessa, perché non era rimasto lì? E chissà in che condizioni stava! Hattori era sporco di sangue, pensò, ma il pavimento della stanza era pulito, quindi doveva essersi ferito da un’altra parte… e quale? Maledettissimo stupido gatto! Avevano faticato tanto per farlo rimettere in piedi!

Ad un tratto Jabura si fermò e annusò l’aria. Si mutò parzialmente in lupo per avere una percezione più chiara degli odori. Purtroppo gli ospedali, tra disinfettanti e solventi, avevano sempre combinazioni di odori molto forti, e questo svantaggiava l’agente (senza contare che lui di base era un uomo, non un animale), ma riusciva a carpire qualche dettaglio in più in forma animale. Si trovava in un corridoio del reparto di riabilitazione. All’improvviso sentì dei rumori sordi provenire dal fondo della corsia, come un martello che batteva, ma era improbabile che qualcuno si fosse messo a ristrutturare l’ospedale in quel momento.
Tornò umano, si tolse la camicia che ormai era fradicia di sudore, e si diresse verso la fonte del rumore stando attento a non fare movimenti troppo bruschi e a non scivolare sul bagnato.


Noticina: "Dorsoduro" è il nome di un sestriere di Venezia (tanto per rimanere in tema Water Seven, e ricordandomi che San Faldo è l'isola delle maschere), e si chiama così probabilmente perché sotto il terreno è molto compatto. Ho pensato che questo potrebbe aver rallentato la crescita della pianticella. Almeno per ora...
Noticina 2: Kumadori recita un verso della Medea di Euripide


Edited by Yellow Canadair - 15/2/2017, 15:58
 
Top
view post Posted on 29/3/2017, 18:06
Avatar

The storm is approaching

Group:
Admin
Posts:
11,895
Location:
Red Grave

Status:


mI6864x
Rob Lucci

Più o meno mentre Hattori superava il centro storico di San Popula alla volta del quartiere Dorsoduro, Lucci raggiunse le scale principali in fondo al corridoio del reparto. O di ciò che rimaneva di esso.
Non fosse per le sedie a rotelle abbandonate lungo la via e per l'odore pungente del disinfettante, era difficile credere che quel posto fosse stato un ospedale fino a poche ore prima.
I tentacoli avevano invaso l'intero edificio: rami e viticci spessi come corde di canapa ricoprivano le pareti, le finestre e persino le attrezzature mediche, abbarbicandosi indistintamente su ogni tipo di superficie. La luce solare penetrava a sprazzi per scomparire in pochi secondi, soffocata dalla vegetazione, e per la maggior parte del tempo rimaneva una presenza evanescente dietro i vetri appannati.
Sembrava di camminare nel fitto di una giungla. E come se non avesse già rogne a sufficienza, superate le prime due rampe di scale, Lucci fu costretto a fermarsi.
Una piccola calca di persone formata da pazienti, medici e infermieri si era radunata sul pianerottolo del secondo piano e bisbigliava animatamente sulla strategia di fuga da adottare. Le scale dirette ai piani inferiori erano prese d'assedio dalle piante e l'oscurità non facilitava l'avanzata.
«Mantenete la calma! Mantenete la calma!!» ripeteva un ragazzo in camice bianco (forse un tirocinante dell'ospedale), più rivolto a sé stesso che ai presenti.
«Per l'amor del cielo, che stiamo aspettando?! Muoviti a scendere!» protestò un paziente.
«Se non ci sbrighiamo, finiremo tutti stritolati o avvelenati!» gli fece eco un altro.
«Signori, calmatevi!» Li riprese l'infermiera che aveva medicato e bendato Rob a puntino, la sera precedente. «Scenderemo uno alla volta, senza spingere. Non fate movimenti bruschi, non gridate, cercate di non calpestare i tentacoli e andrà tutto bene!»
Si levò qualche commento d'approvazione; poi il gruppo cominciò a muoversi, ma con lentezza esasperante agli occhi di Lucci.
Impaziente di uscire da quella specie di serra umida e afosa, l'ex leader del CP9 si affacciò dalla ringhiera: scavalcare sarebbe stato semplice, persino nelle sue condizioni, ma lo spazio era ristretto e senza usare il Geppo difficilmente avrebbe potuto evitare i tentacoli della creatura e raggiungere il primo piano illeso.
Stava per rassegnarsi all'idea di aspettare il suo turno come tutti gli altri, quando udì un tonfo. Poi un gemito. Infine un sussulto generale.
Il medico in capo al gruppo era inciampato e aveva ruzzolato per un metro buono sulle scale di granito, andando a sbattere contro qualcosa. Lucci vide i volti di chi gli stava attorno sbiancare all'istante. Pensò che lo spavento fosse scaturito dalla caduta del ragazzo, ma quando la luce baluginò sul fondo delle scale e illuminò per un attimo la gigantesca dionea con le fauci spalancate, si ricredette.
Aveva visto molte cose fuori dall'ordinario nelle missioni assegnategli dal Governo; una pianta carnivora di quelle dimensioni, però, non rientrava tra queste.
L'infermiera accanto a lui ebbe il buonsenso di portarsi le mani alla bocca per trattenere un grido.
Il giovane medico, di fronte alla creatura, non riuscì a fare lo stesso. Cacciò un urlo da fare gelare il sangue anche a chi non aveva ancora realizzato che cosa sbarrava la strada.
Come disturbati dal rumore, i tentacoli avviluppati alle scale fremettero tutti insieme. La bocca della dionea si spalancò ancor di più con un fruscio sinistro. La Regina di Primavera ghignava famelica nella fredda luce invernale.
Esplose il panico.
Il gruppo fece dietrofront, riversandosi freneticamente su per i gradini. Tutti urlavano e spingevano, inciampavano e si urtavano tra loro, mentre i tentacoli alimentavano il terrore, falciando l'aria e strisciando veloci sul pavimento per catturarli.
Lucci indietreggiò, seccato da quell'inutile trambusto che complicava solo la situazione. Peggio dei deboli sul campo di battaglia, si disse, c'erano solo gli stupidi privi di autocontrollo.
All'improvviso sentì incombere una minaccia dall'alto. Si voltò in tempo per vedere un grosso tentacolo che calava a frusta su di lui, velocissimo e oramai troppo vicino perché potesse schivarlo.
Usò il Soru.
La tecnica gli consentì di evitare l'attacco, ma gli ricordò anche che le sue gambe avevano ricevuto danni ingenti durante lo scontro con Cappello di Paglia.
Atterrò sulle ginocchia e digrignò i denti, più per la rabbia che per il dolore: come aveva fatto un maledetto ragazzino a conciarlo in quello stato?
Si costrinse a non pensarci. Non era il momento. Doveva restare concentrato e tirarsi fuori da lì; perché no, non si sarebbe lasciato sopraffare da nessun altro, umano o vegetale che fosse.
Rimettendosi in piedi a fatica, optò per tornare al reparto di riabilitazione –più silenzioso di quel secondo piano e quindi più sicuro da percorrere–, dove avrebbe cercato le scale antincendio.
Le fasciature gli impedivano i movimenti e amplificavano la temperatura, già di per sé elevata per colpa dell'umidità e dei condotti di aerazione completamente occlusi, ma era peggio dover fare i conti con un corpo che non rispondeva come doveva e che per ogni schivata un po' più rapida delle altre lo puniva con fitte acute e brucianti.

Arrivò in sala d'attesa zoppicando leggermente, i capelli incollati alle spalle sudate. Avrebbe voluto legarli per alleviare il caldo, ma non aveva i fermacoda, persi chissà dove tra le macerie di Enies Lobby.
Si diresse al portone d'ingresso del reparto e si accorse, non senza disappunto, che anche quello era stato fagocitato dalla pianta.
Se voleva passare, doveva liberarlo almeno in parte. Il problema era come: non poteva ripetere il Rankyaku –non se sperava di uscire dall'ospedale in piedi–, e aveva già visto come reagivano i tentacoli quando si cercava di districarli a mani nude.
Se solo avesse avuto qualcosa per...
Non finì nemmeno di pensarci che gli venne in aiuto la memoria visiva. Lucci si rivolse alla parete di fianco e la soluzione si palesò proprio lì, appesa al muro, con la sua testa d'acciaio laccata di rosso brillante.
Ruppe il vetro della teca e impugnò l'ascia di emergenza in un gesto talmente abitudinario che gli sembrò di non essersene mai veramente andato dai cantieri della Galley-La.
Tornò alla porta con gli occhi già puntati sulla serratura e abbatté la lama contro i tentacoli che la ostruivano. Il manico di legno gli scivolava tra i palmi insanguinati, ma quello non era certo un lavoro di precisione. Calò altri due o tre potenti fendenti tra le ante, ignorando i tentacoli mozzati che cadevano e si contorcevano per terra come code di lucertola.
Quando gli sembrò che potesse bastare, Lucci tirò la maniglia e accolse con sollievo il cigolio della porta che si apriva. Cominciava ad avvertire la stanchezza e, per la prima volta da quando si era svegliato dal coma, aveva fame. Non vedeva l'ora di andarsene.
Ma non era ancora finita, non per la Regina di San Popula.
Come Lucci varcò la soglia, un tentacolo si staccò dal maniglione antipanico e gli si serrò attorno al braccio che reggeva l'ascia. Era assurdo, perché si trattava pur sempre di una dannata pianta senza intelletto, ma dava proprio l'impressione di volersi vendicare per il torto subito, tirandolo con furia verso il portone.
Lucci oppose resistenza. Sentì le spine penetrare nella carne dell'avambraccio e allora usò l'altra mano per allentare la morsa.
Si liberò con uno strattone che lo sbilanciò all'indietro, e a poco servì chiedere l'ennesimo sforzo alle sue gambe: a terra era così scivoloso da sembrare opera del Paramisha di Califa.
Solo che alla fine, invece di cadere sul pavimento, Lucci finì con la schiena addosso a qualcosa di massiccio.
No, a qualcuno.
Si voltò di scatto per ritrovarsi davanti i contorni seghettati di una lunga cicatrice. L'aveva guardata così tante volte da vicino, durante certe risse da far tremare i muri del palazzo di Giustizia, che confonderla era impossibile e che da sola bastava a identificarne il proprietario.
«Che ci fai qui?» soffiò Lucci, distaccandosi in fretta da Jabura.
Odiò che fosse lui.
O forse no. Non del tutto, perché una minuscola parte di sé ora sapeva di poter contare su un'arma di gran lunga più efficace e distruttiva di un'ascia.
Anche se perfino quell'arma aveva visto giorni migliori, constatò Lucci guardando i lividi e le ferite sul torace scoperto del rivale.
 
Top
view post Posted on 6/4/2017, 13:08
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


2rr1bft ~ Jabura

CITAZIONE
«Che ci fai qui?» soffiò Lucci, distaccandosi in fretta da Jabura.

« Ero venuto a rimetterti a cuccia nel caso avessi avuto la malsana idea di andartene in giro! » imprecò indietreggiando.

Maledetto cretino!, pensò iroso Jabura, portandosi istintivamente una mano al fianco. Non si era fatto male per così poco, ovvio, e per di più aveva attivato il Tekkai, però anche lui a Enies Lobby non si era risparmiato e ogni tanto le costole glielo facevano notare.

Ed era in piedi?! In piedi, con un’ascia in mano e le braccia piene di sangue! Cosa credeva, che gli infermieri lì lavorassero gratis?
Jabura poi ricordava benissimo, oltre alle parcelle, tutto quello che le infermiere dicevano loro quando lo andavano a controllare, una tiritera infinita di dosi di farmaci dai nomi assurdi e dagli effetti devastanti.

“È normale che… che ancora non si alzi dal letto?” Kaku era sempre quello che si preoccupava di più.
“L’infermiera ha chiaramente detto che è tutto nella norma. E che presto diminuiranno le dosi degli antidolorifici.” Califa era una macchina, lui sospettava che a sera invece di dormire si attaccasse a una presa di corrente. Se non fosse che nel buco dove dormivano l’elettricità non c’era…
“YOOOOYOIIIIII!!! Giorni e notti trascorsi nella sofferenza… ore piovose vissute al gelo per qualche spicciolo dal buon cuore della gente… la mia povera madre veglia dall’Alto al capezzale di Rob Lucci e alla sua pietà è affidato il nostro collega!” Kumadori li aveva fatti cacciare dall’ospedale due volte, per queste sceneggiate indecenti!
“È stato un duello duro… dategli tempo.” Blueno era tardo, ma almeno diceva cose sensate.
“Chapapa… però ieri era parecchio stanco… l’infermiera infatti è corsa a dargli un sedativo, quando ce ne siamo andati…” quel ficcanaso di Fukuro, altro che zip, bisognava incollargliela, la bocca! Che poi quand’è che diceva queste cose? La sera! Quando avevano spento le luci! Buonanotte a tutti col sorriso, eh! Deficiente! Califa poi non riusciva quasi a dormirci!



L’immagine di Califa che si alzava a sedere sul suo materasso con il cuore fuori dal petto per qualche incubo lo riscosse. « Muovi il culo. Stanotte dormi con noi. » perché col cavolo che sarebbe rimasto lì, quello era poco ma sicuro.

Parlando, si tolse la treccia scompigliata dai pettorali sudati, mandandola con un gesto secco a penzolare dietro le spalle.
Ma la treccia urtò qualcosa che si trovava a pochi centimetri al di sopra della spalla destra di Jabura, ripiombando sul suo petto.
« Soru! » Jabura saltò via, materializzandosi in mezzo alla stanza, tra Rob Lucci e un enorme fiore cremisi che si stagliava tra loro e la porta d’uscita, accompagnato da altri rampicanti verdi e bitorzoluti.
Chapapa… attenti ai baccelli scarlatti, sparano dardi avvelenati!” la frase popolare che ripeteva Fukuro.
Soffiò aria dalle narici. Non era facile usare il Soru con le costole incrinate e col pavimento bagnato, ma non si sarebbe certo lamentato. Aveva combattuto nemici molto più ostili in condizioni ben peggiori.
« Gli faccio il Rankyaku. » ringhiò. « Appena lo lancio, corri nella zona del bar, ci trovi Blueno e Fukuro. »
 
Top
view post Posted on 11/4/2017, 12:42
Avatar

The storm is approaching

Group:
Admin
Posts:
11,895
Location:
Red Grave

Status:


mI6864x
Rob Lucci

CITAZIONE
« Ero venuto a rimetterti a cuccia nel caso avessi avuto la malsana idea di andartene in giro! »

Rivolse a Jabura un'occhiata tagliente, notando che si toccava un fianco: le ombre scure di alcuni ematomi spiccavano all'altezza delle ultime costole. «Da che pulpito viene la predica...»
L'idiota non era finito in coma come lui, d'accordo, ma era palese che dovesse ancora smaltire i postumi di una battaglia che l'aveva conciato molto peggio di quanto non lasciasse credere.
Quindi, perché scomodarsi a cercarlo? Non aveva bisogno di aiuto!
Ripensò subito ad Hattori, alle ultime parole che gli aveva detto per convincerlo a scappare dall'ospedale. Si biasimò per non aver previsto le conseguenze.
Di certo, comunque, non si aspettava che gli ex colleghi si preoccupassero sul serio; non al punto da precipitarsi lì e ficcarsi stupidamente in quella giungla –perché Jabura non era venuto da solo, Lucci ci avrebbe scommesso.

CITAZIONE
« Muovi il culo. Stanotte dormi con noi. »

«Potevi risparmiarti l'invito, idiota!» replicò stizzito, ma non terminò quasi di dirlo che la treccia del rivale urtò qualcosa alle sue spalle, rivelando la presenza di un grande fiore rosso. Forse era uno di quelli da cui l'infermiera lo aveva messo in guardia, poiché dotato dardi avvelenati. Qualcuno doveva aver informato del pericolo anche Jabura, perché Lucci lo vide spostarsi fulmineo con un Soru e tenersi a debita distanza.

CITAZIONE
« Gli faccio il Rankyaku. » ringhiò. « Appena lo lancio, corri nella zona del bar, ci trovi Blueno e Fukuro. »

Guardò la porta aperta oltre i petali sgargianti e assentì.
Onestamente, non gli andava a genio l'idea di farsi difendere da quel bastardo, ma gli anni di lavoro al Cipher Pol gli avevano insegnato ad accantonare i dissapori personali quando le circostanze lo richiedevano. Anche se adesso non lavorava più per il Governo e nessuno gli ordinava di farlo, sapeva che bisognava collaborare.

Proprio allora, mentre aspettava il momento buono per correre verso l'uscita, Lucci avvertì un leggero spostamento alle sue spalle e qualcosa che gli sfiorava i capelli.
Non ebbe neanche il tempo di voltare il capo, stavolta. Un tentacolo che sbucava dal condotto dell'aria gli si avvitò attorno al collo, strozzandogli il respiro.
Preso alla sprovvista, Lucci tentò di divincolarsi, ma capì immediatamente che in quel modo avrebbe solo reso più divertente la caccia per il vegetale, e più veloce il suo soffocamento.
S'irrigidì completamente, le mani sul cappio che gli serrava la gola e il corpo contratto in un Tekkai che non aveva la forza né l'ossigeno necessario per sostenere.
L'ascia di emergenza cadde sul pavimento con un pesante tonfo metallico.
 
Top
view post Posted on 12/4/2017, 17:44
Avatar

Junior Member

Group:
Member
Posts:
36
Location:
Mare Meridionale

Status:


2rr1bft ~ Jabura

Degli ansimi? Che diavolo aveva da tarantolare, quel cretino?
Jabura fece un lento passo indietro, e poi si volse leggermente verso Rob Lucci. « Guarda che sto per- »

MERDA

L’agente ricacciò indietro una marea di insulti diretti a Lucci, a quello schifo di pianta, all’ospedale, a San Popula e a tutto l’universo creato, valutò in una frazione di secondo il nemico più pericoloso e si voltò di nuovo verso il fiore cremisi che gli si stagliava minaccioso davanti.

Saltò fulmineo, il fiore scattò.

« Rankyaku Kuro! »

Una lama d’aria falciò all’istante il fiore, che rantolò per terra contorcendosi e perdendo linfa che si mischiò all'umido del pavimento.

« Soru! »

Schizzò al fianco del collega e all’improvviso si sentì la spalla destra in fiamme, come se al posto del sangue avesse il fuoco. Ignorò il dolore, si mutò all’istante in forma ibrida, « Rankyaku Lupus Fall! »

Quattro scintillanti lupi azzurri zampillarono dal suo Rankyaku, tranciarono senza pietà il tentacolo che stava soffocando Rob Lucci, e buttarono a terra il muro della stanza, aprendo uno squarcio verso il corridoio.
Jabura trattenne il fiato davanti alla nube di polvere e calcinacci che lo investì, e dopo pochissimi istanti capì di essere nella merda fino al collo.

Nella polvere che si diradava, decine di tentacoli si drizzarono come incuriositi dal trambusto e cominciarono a strisciare velocemente verso di loro.

Il braccio destro non si muoveva.
Che cazzo stava succedendo?

Si tastò con la sinistra la spalla dolorante e scese verso la clavicola.

Cazzo. Era stato fregato.

“Chapapa, sparano dardi avvelenati!”

Si sentì a corto di fiato. Il torace non rispondeva a dovere.

Doveva solo sperare in un miracolo, non sarebbe rimasto in piedi a lungo. Fanculo però, almeno quell’alzato di culo mezzo asfissiato non sarebbe andato a dire in giro che lui non aveva giocato il tutto e per tutto.

Si strappò il dardo, grande quanto un chiodo da maniscalco, e lo gettò via sprezzante. Sentì il sangue scorrergli sul petto nudo.

Si leccò le labbra. « Tekkai Kempo » scandì.
Ignorò Rob Lucci, portandosi tra lui e i tentacoli che strisciavano verso di loro.
Sentì il veleno divorargli i tendini e le ossa, il cuore accelerò la sua corsa.
Strinse i denti. Maledizione.

« Lupo che Caccia…
» si preparò all’ultimo colpo « LOCAL AREA NETWORK! »
Una tempesta di lame falciò i tentacoli, che si sparsero al suolo agonizzanti e rinsecchendosi. Il resto della pianta decise per una momentanea ritirata, e Jabura soddisfatto ritornò in forma umana.

Si voltò verso Rob Lucci. Ghignò trionfante.

Cazzo se bruciava, bruciava tutto. L’aria era un filo azzurro che scorreva troppo piano tra la sua bocca e i suoi polmoni.

« Torniamo dagli altri, forza. »
E le gambe cedettero.


Dovrebbe resistere ancora un pochino, ma rischia il collasso respiratorio


Edited by Yellow Canadair - 12/4/2017, 19:17
 
Top
44 replies since 28/12/2016, 21:27   1053 views
  Share