~ Jabura Un mare di rosa.
Jabura vide un mare di rosa e, oltre, il Sole. Serrò gli occhi di nuovo, troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa. La luce era forte, era quella del mattino… e lui era vivo.
Dentro di sé ghignò: certo, che era vivo! Mica bastava così poco per metterlo a terra! Respirò piano… e il fiato gli mancò all’improvviso per il dolore: le costole.
Cazzo, quante ne aveva fuori uso?
Non riusciva a svegliarsi… sentiva voci, non le riconosceva, il suo corpo non voleva rispondere.
Qualcuno stava… stava cercando qualcosa in mezzo al suo pelo? Sentiva qualcuno che gli pigiava il fianco, e a ogni centimetro faceva sempre più male.
Cazzo, smettila!, pensò il Lupo senza riuscire a spostarsi.
Qualcosa di leggero: dita eleganti e delicate gli stavano pulendo il muso, sporco di sangue, di calce e di chissà cos’altro. Cercavano di liberargli il naso, di non tirargli i baffi, di pulirgli gli occhi… da quando Lucci era così delicato, con le mani? Mica male… l’idiota aveva una carriera assicurata come estetista!
Il cervello faticava a connettere, le sinapsi non volevano saperne di ripartire a pieno regime. Una folata di vento spazzò via l’immagine assurda di Lucci che si prendeva cura del suo corpo stanco: era l’odore di Califa, era lei che era inginocchiata vicino a lui e gli stava asciugando il sangue e il sudore dalla fronte.
Santa donna. In effetti, quando mai Lucci avrebbe potuto avere quelle mani così affusolate? Roba da donne! Solo Califa avrebbe potuto conservare delle mani così lisce nonostante gli anni a imparare a fare lo
Shigan, che a loro aveva fatto venire i calli!
Avvertì altre presenze, che si affiancarono a quella rassicurante di Califa. La voce tonante di Kumadori si alzò su tutte le altre, come al solito. Fukuro balbettava scuse.
Fukuro, se non ti stai zitto non riuscirai a fare nemmeno quello., pensò ricordando la scena del controsoffitto che crollava addosso a lui e Lucci. La testa gli sembrò esplodere, all’improvviso, e strinse i denti finché il dolore non passò.
Kaku, Blueno, e altre voci che non conosceva.
E Lucci? Era vivo?
Dove sei?Di una cosa era certo, era fuori, e non era più in pericolo. Lo avvertiva dall’odore di Califa, dal suo modo di respirare: era sconvolta, ma era anche sollevata. Va benissimo, ma Lucci?
Controllò il respiro per non farsi dolere ancora le costole, e guardò attraverso le ciglia, per non aprire subito gli occhi. Il rosa, di nuovo. Intenso e brillante, proprio sopra di lui: Kumadori lo stava proteggendo dal sole, aveva creato un piccolo tetto con i suoi capelli.
Finalmente si è reso utile!Richiuse gli occhi, stanco per quel microscopico movimento. Quando era tornato umano? Era convinto di essere ancora nella forma ibrida… che stesse perdendo colpi con l’età? Naaaah. Tutto sommato, si concesse, era stata una mattinata movimentata.
E infine una voce, profonda e seria, s’impose sulle altre: quella di Rob Lucci.
In un luogo molto remoto e molto nascosto del suo famelico animo, Jabura sospirò di sollievo. Le ossa gli gridarono dentro, assordandolo dal dolore, mentre quella voce continuava a parlare.
Ok, sei vivo, ora stai un po’ zitto.
Che diavolo aveva da chiacchierare? Lucci era sempre stato un uomo più d’azione che di parole, che aveva da discutere tanto?
CITAZIONE
«Tu hai succhia... cosa?» Kaku non trattenne lo stupore.
Il Lupo afferrava brandelli di frase, ma non riusciva a trovarvi molto senso, né se ne curava troppo, a dirla tutta: l’essenziale era che Lucci fosse ormai al sicuro, e che fosse in mano ai medici. Lui se la sarebbe cavata, anche se era ancora stordito per la fatica e per il sangue perso: l’adrenalina che l’aveva sostenuto fino ad allora era andata via, come un ruscello prosciugato, e lui era stremato, a terra, e la sua mente rifiutava di rimettersi in moto.
Quando le voci attorno a lui si fecero agitate, il suo cervello ricominciò a reagire decentemente.
E una frase girò la chiave alle sue sinapsi, e gli avviò il motore:
CITAZIONE
«Che vi aspettavate?» Fece Lucci, stizzito. «Che lo lasciassi morire?»
Jabura pensò a una risposta, cui Fukuro diede subito fiato, immancabilmente. Certo che si aspettava di essere lasciato indietro a crepare. Certo che avrebbe voluto che quell’incosciente tornasse subito dai compagni, invece di perdere tempo con lui. Certo che…
Certo che l’aveva salvato. Gli era stato vicino in momenti assurdi e vergognosi, l’aveva salvato da una paralisi totale, l’aveva sollevato quando non aveva nemmeno la forza di camminare da solo, gli aveva…
L’imbarazzo di quel ricordo smosse definitivamente Jabura, che dentro di sé avvampò mentre, di nuovo, la pianticella secca tornò ad essere troppo stretta per ciò che conteneva.
Cazzo! CITAZIONE
«Credo che si stia svegliando...»
E hai ragione, coglione! Eri l’unico con un potere in grado di cavarci fuori, dove sei stato per tutto il tempo?!Ma non rispose a Blueno; le sue prime parole da sveglio furono per Rob Lucci:
« Maledizione, cos’hai da parlare così tanto? ho faticato per tirarti fuori da quella merda, vedi di non sprecare tutto il lavoro! »
E dicendo ciò, Jabura fece subito leva su ciò che restava dei suoi addominali per tirarsi in piedi, ma poi dovette aiutarsi con le braccia, perché vide subito che non era proprio nelle condizioni migliori.
« No, no, si fermi, stia disteso! » lo pregò subito il dottore che aveva vicino.
« Rimani giù, non fare lo stupido! » lo rimbeccò Kaku da lontano; era vicino a Lucci, lui, controllava le pulsazioni del boss e teneva a bada Hattori, pazzo di felicità, perchè non ostacolasse i medici.
« YOYOI! UN TORTUOSO CAMMINO TI HA PORTATO FINO A QUA, OLTRE NON TENTARE, SEI TRA AMICI, NON TRA I PERICOLI DI UNA SELVA OSCURA! » Kumadori, così dicendo, gli offrì un appoggio sia con le grandi mani, sia con una mole immensa di capelli rosa, che svelarono il sole pallido della mattina e corsero a fare da momentaneo schienale, che tuttavia il Lupo rifiutò. Strinse i denti, il movimento gli fece salire il vomito, ma si impose di resistere.
« Non ti sforzare, rischi di svenire di nuovo! » lo pregò Califa, in ginocchio vicino a lui.
Jabura afferrò il medico per il bavero e sibilò, guardando la governativa per assicurarsi che fosse abbastanza lontana, ma non lo era, accidenti: « Ho avuto un problema con quella cazzo di pianta » affermò, troppo vago perché quello capisse a cosa si riferiva.
« Sì, ce ne ha parlato Lucci » disse Califa, in maniera sbrigativa « Una cosa alquanto molesta » sottolineò.
« Dav-? Cosa?! Cosa vi ha raccontato?! »
Sei morto, gatto di merda! Sei morto e sepolto! Gli hai detto della pianta ninfomane mentre ero a terra?!? Come ti è venuto in mente??« Che siete stati attaccati dalla pianta, e lei è stato morso! » disse subito il medico, cercando di convincere Jabura a rimettersi in posizione orizzontale « Ma non si preoccupi, l’infermiera è andata a prendere le scorte di antidoto, le faremo un’iniezione per sicurezza. »
« Quindi ricordati di non usare il
Tekkai » gli ricordò sottovoce Blueno.
« Lo so benissimo! » abbaiò Jabura nella direzione dell’ex oste di Water Seven. Meno male, non aveva raccontato quella parte!
Risuonò un grido in lontananza: « Le fiale!! » era tornata l’infermiera, una piccola e vecchissima donna, che recava con sé l’antidoto. Ne lasciò una fiala accanto al dottore, per Jabura, assieme a cotone idrofilo, siringhe e aghi sterili, guanti di lattice, una bottiglia rosa di alcol, il tutto su un vassoio d’acciaio rubato alle sale operatorie. Poi, con un armamentario uguale, andò lei stessa da Lucci.
« Signorina, venga » fece a Califa. Aveva visto le sue lacrime, e voleva cercare di distrarla e farla rendere utile: « Le faccio vedere come si fanno le iniezioni! Questo giovanotto non mi sembra il tipo di paziente che strepita per un ago, sarà contento di fare da modello… il fisico ce l’ha! » ridacchiò contenta, strizzando l’occhio a Rob Lucci.
Non le avrebbe fatto toccare niente, ma lei sarebbe sentita meglio, pensò, se avesse avuto la sensazione di aiutare i suoi cari!
« Questa è molestia sessuale » mormorò Califa asciugandosi il moccio con una manica: ma era solo un po’ raffreddata, non stava certo piangendo!
Jabura, intanto, tornò a rivolgersi al medico: « Senti, ho avuto un altro problema con la pianta, possiamo andare in un posto più riservato? »
« Dopo, adesso la cosa più importante è somministrarle questo, è ancora a rischio paralisi »
« LE MIE PALLE SONO A RISCHIO PARALISI! » sibilò Jabura, più letale e minaccioso possibile, avvicinandosi al medico per non farsi sentire da Califa e dal resto del gruppo.
Il dottore invece s’alterò: « Non è il caso di essere così cafoni » rimproverò Jabura « Cosa crede, che non voglia aiutarla? È proprio per aiutarla, che le voglio somministrare il prima possibile la cura »
Il povero Lupo rimase sorpreso: lui non voleva aggredirlo, aveva solo detto la verità! quasi pianse (mentre la pianta avvizzita se la stava ridendo, lui ne era sicuro, oh, le avrebbe dato fuoco nel camino della Cappella degli Accovati, si promise): « Dico sul serio! » e cercò di spiegarsi meglio. « Un arbusto mi si è impigliato al cazzo, me lo deve togliere!! »
Il medico sgranò gli occhi, e fissò quelli di Jabura: non era uno scherzo.
« Presto » disse agli agenti che circolavano lì attorno e cercavano di portare acqua, abiti asciutti, o fare ombra. « Mi serve filo di sutura azzurro »
“…filo di sutura azzurro?!” dicevano gli occhi di Blueno, Kumadori e Fukuro.
« Ha i capelli neri e un taglio in testa che va ricucito all’istante! Non vedete che perde un mare di sangue?! » si arrabbiò il medico. « Se uso il filo di sutura normale, quello nero, non riuscirò ad vederlo, tra i capelli dello stesso colore! Mentre gli faccio l’iniezione, cercatelo! »
~
« Ma è vera la storia del filo di sutura azzurro? » chiese Jabura, quando fu solo con il medico, per distrarsi dalla spiacevole sensazione di un uomo che metteva le mani sul suo cazzo.
Sorvegliava da lontano Lucci, Kaku, Califa e l’infermiera, ma per fortuna Califa non si girò mai nella sua direzione, tutta presa da qualcosa che le raccontava la donna.
« Solo in parte » spiegò il dottore tagliando con estrema delicatezza e rapidità i rami secchi che costringevano i gioielli dello sventurato Lupo « È vero che, sui pazienti con i capelli neri, usiamo per comodità il filo di sutura di un altro colore, per vederlo meglio. Non è vero che è indispensabile per ricucirli, però sul momento non mi è venuto in mente nient’altro. Non succede spesso che la pianta molesti sessualmente le persone, però ci sono alcuni casi di letteratura medica al riguardo… »
Jabura non lo fece apposta, il dottore chiacchierava di piante ninfomani risalenti ad anni prima e i pensieri gli scivolarono senza che potesse farci niente: pensò che la sensazione delle mani di Lucci sul pacco era infinitamente migliore, pur non avendo vinto contro l’orribile pianta.
Anche se il dottore invece, grazie a un bisturi e alle mani fermissime, ci stava riuscendo (e di questo Jabura gliene era grato, non si discuteva), non riuscì a dargli la stessa strana sensazione.
Si sarebbe maledetto e deriso per i giorni a venire, per quel pensiero.
« Tenga, come
souvenir » concluse il dottore mettendo in mano a Jabura l’arbusto secco e contorto. Il Lupo ghignò, e allungò la mano per prendere quella maledetta radice ninfomane ma, sotto gli occhi attenti del medico, mancò clamorosamente la presa e la pianta cadde fra le gambe dell’uomo.
« …quando mi ha detto di non aver male alla testa, mi ha detto la verità, vero? »
No.~
Trauma cranico con lieve commozione celebrale, tre costole rotte e cinque incrinate, non meno di una settantina di punti sparsi in tutto il suo territorio, e “
momentanei problemi ai dotti deferenti da tenere sotto osservazione”, formula che i medici avevano detto occhi negli occhi a Jabura e non si erano presi la briga di spiegare a nessun altro.
No, si promise Kaku guardando i due colleghi sdraiati uno accanto all’altro, non li avrebbe fatti camminare fino a Dorsoduro; non riuscivano nemmeno a mettersi seduti. Guardò verso i rottami dell’ospedale: era stato carpentiere, dalle vecchie barelle rotte e inutilizzabili forse sarebbe riuscito a costruire un carrettino per portarli a casa.
I due storici avversari erano vicini, stesi su due barelle parallele; stanchi, sporchi, sfatti, così bianchi di calce e rossi di sangue sporco che i medici, prima di medicarli, avevano dovuto pulirli grossolanamente, per raccapezzarsi in quello sfacelo di muscoli dilaniati dalla fatica. Quando sarebbero ritornati a casa, avrebbero dovuto pensare a un modo per pulirli, perché sicuramente la doccia era fuori discussione (e comunque, non ce l'avevano!)... forse Califa avrebbe potuto aiutare?
Lo spazio in quel cortile era poco, e intorno a loro avevano cominciato ad ammassarsi altri pazienti, altri feriti, altre vittime tirate fuori dalle macerie dai Vigili del Fuoco di San Popula; meglio non separare le famiglie, avevano detto i medici: avevano spostato con delicatezza il Lupo accanto a suo “fratello”, perché si tenessero compagnia, assieme al resto della loro famiglia.
Vicino ai due uomini a terra erano rimasti solo un medico e un’infermiera, e lavoravano senza sosta per mettere punti e fare iniezioni di anestetico locale. Kaku e Blueno, con tanto senso pratico, erano riusciti a mettere in piedi una piccola tettoia di lamiera per ripararli dal sole e dal vento fresco.
« Se vi sentite intontiti, non preoccupatevi » ammonì dolcemente l’infermiera, che era una nonnina dolcissima di quelle che “danno il bacetto sulla bua” « Rilassatevi. È normale, sono i farmaci. Siete stati davvero coraggiosi a prendervi cura l’uno dell’altro, ma adesso ci pensiamo noi. Tu hai preso una bella botta alla testa » disse a Jabura « Rimani tranquillo, ora va tutto bene »
Era stata lei a medicarlo, a prendergli la testa tra le braccia come faceva in tempo di guerra, anestetizzarlo (una roba dolorosa, che strappava lamenti ai peggiori scaricatori di porto; quell’uomo invece non aveva detto niente, una roccia!), e poi ricucirgli la testa veloce veloce, con il famoso filo di sutura azzurro.
Lasciò una carezzina a entrambi, come se fossero stati due suoi nipotini.
Jabura guardò verso Lucci; era stordito, la lucidità andava e veniva a causa del colpo alla testa, e Califa era incaricata di dargli dell’acqua ogni quarto d’ora, però non poteva che guardare con orgoglio a quello stupido mentecatto che era riuscito a tirare fuori dall’Inferno con la cazzata del frigorifero!
« Stavi meglio dopo il Buster Call! »
Edited by Yellow Canadair - 8/6/2018, 23:31