Rob LucciCITAZIONE
-Ormai siamo pronti. Manca solo Kumadori. Sarà difficile per lui separarsi da sua madre.-
-Mi mancherà questo posto.-
Lucci scrutò per l'ultima volta il mare mentre il sole moriva all'orizzonte.
La partenza dall'isola si preannunciava difficile per tutti, vuoi per la separazione da un familiare e dall'unico posto che potevano considerare casa, vuoi per un brutto presentimento sul futuro.
Perfino Hattori era giù di tono. Nei boschi di quell'isola aveva imparato a volare, tra le sue fronde aveva avuto un nido e aveva sperato di ricostruirsene uno, prima o poi. Ma capiva che non ne avrebbe avuta più l'occasione: stavano per ripartire e dalle facce abbacchiate dei suoi compagni si rendeva conto che sarebbe stato un addio, questa volta.
Lucci la viveva in maniera diversa. In lui, la sete di vendetta verso Spandam e la consapevolezza che quel luogo non fosse sicuro per il gruppo prevalevano cinicamente sulla malinconia. Ma c'era anche un'altra ragione, più profonda e inconfessata, per cui quel posto non gli sarebbe mancato più che tanto.
Lanciò un'occhiata a Kaku che ora camminava al suo fianco verso la base, i dorsi delle loro mani così vicini che quasi si sfioravano.
Tutto ciò che lo faceva davvero sentire a casa sarebbe partito insieme a lui.
Arrivati alla torre, l'ex leader del CP9 si congedò dai compagni per prepararsi alla cena. Salutò con un cenno Fukuro, scambiò qualche insulto con Jabura e sostò invece davanti alla porta della stanza di Kaku.
CITAZIONE
-Beh, allora a dopo cena.-
«A dopo.»
Lo vide fargli l'occhiolino e sparire dietro la porta con uno di quei sorrisi che riservava solo a lui, solo quando erano da soli.
Rimase immobile, come incantato a fissare l'uscio chiuso. Per un secondo o due la sua espressione fu di nuovo quella del Rob Lucci artista di strada e passeggero clandestino del Titanic, nell'atto di ammirare un giovane rampollo dell'alta società mentre si affacciava a guardare il tramonto sul mare, e giudicare chi tra i due fosse lo spettacolo mozzafiato.
Lascia perdere amico, non potrai mai avvicinarti a lui! risuonò perentoria la voce di Cutty Flam dentro la sua testa.
Poi qualcosa di bianco invase il suo campo visivo muovendosi su e giù, insistentemente.
Hattori gli stava sventolando un'ala davanti alla faccia.
«Kuruppo!» Protestò.
«Sì. Sono ancora qui.»
Lucci lo rabbonì con una carezza sotto il becco. Raggiunse quindi la sua stanza e si preparò per una doccia veloce, mentre il colombo si appollaiava borbottando sull'attaccapanni all'ingresso.
Sperava che la cena di quella sera (un banchetto all'insegna di piagnistei e musi lunghi, con ogni probabilità) non togliesse troppo tempo all'incontro notturno con Kaku. E poi avrebbe dovuto parlare anche con Califa, sperando che Jabura non lo anticipasse. Era buono solo a far salire i nervi e l'ansia, quel dannato lupastro.
Aveva appena finito di asciugarsi e rivestirsi quando udì qualcuno bussare con decisione alla sua porta.
Era il maestro Auron.
Gli riferì che uno degli allievi era scomparso nella foresta da quel pomeriggio, dopo il solito addestramento, e che a nulla erano valsi gli sforzi dei bambini di setacciare il bosco. Nessuno era riuscito a trovare Ganta; così il maestro aveva deciso di scendere in campo in prima persona, malgrado l'ora tarda.
«Potrebbe essere caduto nel vecchio pozzo ed essersi ferito. Ti va di unirti alla ricerca? Col tuo frutto del diavolo dovresti essere avvantaggiato al buio, stando a quanto dice Fukuro...»
Lucci giudicò strana quella richiesta. E benché Auron parlasse col tono austero di sempre, giurò di sentire come una nota stonata nella sua voce.
«Le reclute del futuro CP9 non dovrebbero imparare a cavarsela da soli?» obiettò.
«Le politiche del Governo sono leggermente cambiate. Non possono permettersi di perdere nessuna nuova leva, dal momento che sette dei loro agenti più qualificati si sono dati alla macchia.»
Negli occhi di Lucci guizzò un lampo di collera. «Ci sono stati
costretti!»
«Lo so, lo so.» Il maestro chiuse gli occhi e scosse lentamente il capo. Era stato impossibile trovare un punto di accordo sull'argomento e da alcuni giorni, tanto per i veterani del Cipher Pol quanto per i giovani ex agenti, la discussione era stata tacitamente archiviata.
Ora l'uomo sospirò con aria stanca. Per la prima volta da quando erano approdati sull'isola, Lucci riconobbe nel suo volto tutti i segni del tempo passato. «Speravo di approfittarne per fare due chiacchiere, prima che tu e gli altri partiste.»
Lucci ci pensò su un attimo. In fondo, doveva aspettarsi un discorso di congedo da Auron; non era mai stato un padre per loro, ma rimaneva comunque la figura più vicina ad un genitore che avessero avuto da bambini.
Recuperò giacca e piccione dall'appendiabiti e accettò di unirsi alla ricerca.
Stava attraversando il corridoio deserto come ai vecchi tempi, con Hattori in spalla e il maestro Auron ad aprire la stada, quando passò di nuovo davanti alla stanza di Kaku. Rallentò istintivamente il passo per lanciare uno sguardo alla porta.
Provò all'improvviso una sensazione strana, come una leggera inquietudine... ma si dileguò in fretta com'era venuta.
Rimase solo il desiderio forte, inspiegabile, di vedere Kaku un'altra volta.
Era stupido ed era superfluo, perché a breve avrebbero cenato, dormito e magari
fatto altro assieme, ma avrebbe voluto rivederlo proprio in quel momento, anche solo per informarlo che avrebbe ritardato a cena.
«Non ti tratterrò a lungo.» Lo richiamò Auron, fermandosi a sua volta e guardando prima in direzione della camera di Kaku e poi Lucci. «E nel frattempo, sono certo che Kaku saprà tenere lontano Jabura dal tuo piatto.»
Lucci annuì distrattamente. «Sì.»
Oh, senti, signorino d'alta classe, sei tu quello che ha da preoccuparsi di più in tutta questa faccenda.Represse con una smorfia le ultime parole di intimidazione del lupo e riprese a camminare.
In pochi minuti si allontanò fuori dalla torre insieme ad Auron, completamente ignaro del pericolo che li attendeva.
Califa era l'unica a non essersi ritirata nelle sue stanze dopo l'ispezione delle scialuppe.
Al primo momento buono, allontanatasi dagli sguardi dubbiosi dei colleghi, era sgattaiolata all'ultimo piano della torre, sul terrazzo che era stata la sua postazione preferita molti anni prima, quando era solo una bambina in cerca di pace da sei maschiacci pestiferi e rumorosi.
Stavolta non era da sola.
Davanti a lei, occultati dal progressivo calare della sera, c'erano una decina di uomini, tutti rigorosamente in divisa e tutti estremamente silenziosi.
Tra essi, ne spiccavano tre per grado e per uniforme: Lusky, suo padre, impassibile come sempre nel completo nero pece del Governo Mondiale; il capitano Verygood, avvolto nel lungo cappotto bianco, a capo del piccolo plotone di marines radunato tutt'attorno; il terzo uomo Califa non lo conosceva, ma indossava un vestito verde militare con finiture dorate che da solo bastava ad indicarne la provenienza. Un secondino della prigione di massima sicurezza, Impel Down.
«Ripassiamo il piano» prese parola Lusky, parlando a voce bassa ma chiaramente udibile dai presenti «Finora è andato tutto come previsto, ma adesso comincia la fase più delicata dell'operazione. Un solo errore ora potrebbe costarci caro.»
«Il resto dei miei uomini ha già preso posizione, Sir Lusky», lo informò il capitano Verygood, «Ciascun gruppo ha con sé le manette di agalmatolite, come richiesto, ed è pronto alla cattura dei fuggitivi.»
«Molto bene.» Lusky si voltò verso la figlia «Califa?»
Lei abbassò lentamente lo sguardo sui manifesti che aveva di fronte, come se fino ad allora la mente l'avesse estraniata da tutto ciò che le accadeva intorno. Indicò due volti stampati negli avvisi di taglia e si ascoltò dire ai marines:
«Kaku e Jabura... dobbiamo neutralizzare prima loro. Hanno un douriki di 2200 e di 2180, rispettivamente. È importante prenderli di sorpresa, mentre sono isolati; non riusciremmo a spuntarla nemmeno contro uno di loro se si rendono conto di essere in pericolo...»
«Di questo non devi preoccuparti, dolcezza. Crolleranno ai nostri piedi prima ancora di capire cosa sta succedendo!»
Califa si voltò verso il secondino, aggiustandosi nervosamente la montatura sul naso.
Quel tizio non parlava in modo normale:
sibilava parole. Ed era impossibile guardarlo negli occhi per capire cosa gli passasse per la mente, dal momento che indossava un paio di lenti scure, anche ora che il sole era tramontato da un pezzo.
Non le piaceva per niente. Anzi, a dire il vero lo trovava un po' inquietante.
«Perché una guardia carceraria partecipa all'operazione? Che molestia sessuale è mai questa?»
«Black Mamba è stato autorizzato da Spandam» spiegò Lusky «O per meglio dire, Spandam ha chiesto e ottenuto il permesso dal direttore Magellan. Le sue abilità ci torneranno molto utili durante la missione.»
Verygood inarcò un folto sopracciglio scuro. «Abilità...?»
«Ho mangiato anch'io un frutto del diavolo: lo Zoo Zoo Serpe Serpe.» Black Mamba scoprì i denti in un ghigno. I suoi canini mutarono repentinamente in lunghe zanne acuminate, tra le quali fece capolino la lingua violacea e biforcuta. «Una piccola dose del mio veleno può uccidere in pochi minuti un uomo. Una dose più consistente può fare lo stesso con un lupo, o un leopardo. E quanto alla giraffa...» sogghignò «Sono curioso di scoprirlo!»
«Non dobbiamo ucciderli!» Protestò Califa allarmata. «Vanno catturati vivi. Gli ordini sono questi!»
«
Preferibilmente vivi», soggiunse Lusky avvicinandosi alla figlia «Questi sono gli ordini di Spandam. Ed è per questo che ad ognuno di voi è stata consegnata un'arma imbevuta di veleno: non è una dose letale, naturalmente, servirà solo a stordire gli obiettivi e a consentirci una facile cattura.»
«Confermo. La paralisi li renderà inoffensivi come agnelli!»
Califa infilò una mano nel generoso decolleté ed estrasse un piccolo pugnale d'argento. Quando lo tirò fuori dal fodero, la lama bluastra brillò sotto i raggi pallidi della luna.
«Basta... una piccola ferita?» chiese in un sussurro.
«Sì. Una piccola ferita e il veleno andrà in circolo nel giro di qualche minuto. Non appena gli obiettivi saranno innocui, potrete ammanettarli con l'agalmatolite.»
«Molto bene» sorrise Verygood, che si era prospettato quella missione molto più difficile e pericolosa senza la collaborazione degli agenti governativi «È un ottimo stratagemma!»
«Capitano!» Intervenne un marine avvicinandosi ai quattro col fiatone. «Sir Auron ha appena lasciato la torre con Rob Lucci!»
Lusky e Verygood si scambiarono un cenno d'intesa. Black e Califa furono scossi nel medesimo istante da un fremito, ma solo il primo tradiva impazienza ed eccitazione: negli occhi della donna dilagavano smarrimento e paura.
«È il momento.» Annunciò il capo esecutivo della vecchia generazione del CP9.
«Tutti ai vostri posti, veloci! E badate a non farvi sentire!»
Verygood ed i marines sciamarono al piano sottostante in piccole file ordinate. Black Mamba sparì dietro di loro, ancora sogghignante, sfiorando l'impugnatura del suo pugnale: «Giustizia sarà fatta!»
Califa mosse un passo avanti.
Traballò, non per le ginocchia incerte ma per il cuore che le pulsava in gola talmente forte da ostacolarle il respiro.
Non poteva credere a ciò che stava facendo. Eppure era lì, ed era tutto reale.
Stava per tradire i suoi compagni.
Stava per voltare le spalle a chi l'aveva soccorsa da un Buster Call e consegnarli a Spandam, l'uomo che l'aveva condannata a morire sotto lo stesso Buster Call.
«Non esitare ora, abbiamo bisogno di te.» Lusky le si avvicinò, stringendola per le braccia e guardandola dritta negli occhi. «Tu sei la chiave di questa operazione, Califa. Ne va anche del tuo futuro!»
Lei trasalì, sentendosi riportare bruscamente coi piedi per terra. Ritrovò il suo punto fermo negli occhi chiari del padre, ma la voce le uscì ancora strozzata dalla gola. «Non so se riuscirò...»
«Ci riuscirai. Loro si fidano di te: potrai avvicinarli senza destare sospetto e colpirli. Una volta in manette, non avranno altra scelta se non collaborare. Nessuno si farà male.» La guardò ancora per pochi istanti; poi si sbilanciò in una carezza che da troppi anni mancava al viso della sua bambina, ormai diventata donna. «So che mi renderai fiero, Califa.»
Sto già malissimo per loro, ma non sto nella pelle.
Verso i mari dell'angst e oltre!!