Rob LucciCITAZIONE
« si è aggrovigliato attorno al mio cazzo »
Grazie per avermi tolto il dubbio, idiota, pensò Lucci, ma il moto d'indignazione gli si spense ancora prima d'accendersi sul volto.
Doveva essere per il modo in cui Jabura l'aveva guardato. Era furente e irritato e smanioso di massacrare quella pianta di lì alla fine della stagione primaverile, e...
Ed era un bluff.
Lucci glielo leggeva nello sguardo, come il giorno in cui aveva capito di averlo superato sul campo di battaglia, durante un allenamento. Non ricordava quanto tempo addietro fosse successo, di sicuro abbastanza da averne dimenticato i dettagli, ma una cosa se la ricordava ancora perfettamente: gli occhi di Jabura che gli dicevano che non avrebbe retto un altro colpo, mentre il suo ghigno lo sfidava a continuare.
Allo stesso modo ora, dietro quell'aria rozza, da lupo rabbioso, Lucci vedeva solo un uomo con una tonnellata di stanchezza mentale e fisica sulle spalle che non vedeva l'ora di deporre le armi.
CITAZIONE
« Non tranciare quello che ho addosso » disse piano. Si spostò delicatamente sul lettino, la pianta gli ficcò le spine nelle cosce e sul ventre, eludendo il Tekkai perché le spine erano robuste e a acuminate. Jabura strinse i denti, sentendosi pulsare le ferite « taglia qui » ordinò, mostrando il buco nel materasso dal quale era sbucata la piantina « e poi tolgo il ramo morto e ti porto fuori »
Dei rivoli di sangue affiorarono sul ventre di Jabura nel punto in cui la pianta lo ghermiva. I pantaloni erano scuri e al buio era pressoché impossibile averne conferma, ma Lucci era certo che anche lì, dove le spine gli si conficcavano nelle cosce, si stessero spandendo macchie scarlatte. Registrò di sfuggita la reazione del rivale che stringeva i denti per controllarsi e non mettere in allerta la pianta.
«D'accordo» rispose poi, staccando le mani dalla branda. Sembrò non notare che Jabura in quel momento stesse dando direttive, dimenticare che a lui, gli ordini, li davano solo i Governativi superiori in grado. «Conto fino a tre.»
Osservò il foro sul materasso che prima non aveva notato e si preparò a colpire il tentacolo.
«Uno... Due...»
Dalla parte opposta del reparto che ospitava gli ambulatori, nel frattempo, Blueno era seduto al bancone del bar ad aspettare il ritorno dei suoi compagni.
La Regina di Primavera (così gli era parso che medici e soccorritori chiamassero il rampicante che stava infestando l'edificio) non aveva risparmiato neanche quell'aerea: l'intonaco si era staccato dal solaio in più punti, porte e finestre erano state sradicate dai cardini e molti tavoli e sgabelli erano rovesciati, parzialmente distrutti dai tentacoli o dai colpi che lui e Fukuro avevano dovuto sferrare per difendersi.
Dietro al bancone, per terra, giaceva un cimitero di bicchieri e tazzine da caffè in frantumi. Curiosamente, in mezzo a tanta devastazione, una bottiglia di liquore si era salvata: caduta giù da una mensola e attutita dai rovi della Regina, era rotolata fino ai suoi piedi ancora intatta e sigillata. Blueno ora la studiava, rigirandosela in mano per leggerne i caratteri dorati sul dorso.
Whisky. Invecchiato di quattro anni.
Nulla di particolare, né di troppo costoso, comunque sicuramente più di quello che adesso potevano permettersi di ordinare in un bar.
Ci rifletté su un secondo: forse nessuno avrebbe avuto voglia di aprire la bottiglia, quella sera, ma quando l'emergenza fosse rientrata, quando le acque -cioè le
piante- si fossero calmate a San Popula... perché no? A Lucci e Kaku faceva piacere bere il sabato sera, a Water Seven. E non aveva dubbi riguardo all'approvazione di Jabura.
«Che stai facendo?»
Blueno s'infilò la bottiglia in tasca. «La prendo prima che si rompa.»
«L'hai rubata! Chapapa!»
«Non l'ho ru... »
«Blueno!» esclamò in quel mentre Kaku, sudato e col respiro un po' affannato, entrando dall'ingresso principale. Vagò con lo sguardo per la sala. «Ci siete solo voi?»
«Giungemmo infine al luogo prestabilito, ove riabbracciare i nostri compagni! YOYOI!!»
Kumadori e Califa apparvero da un altro ingresso laterale. Da soli.
«Nessuna notizia di Lucci?»
«Negativo», rispose Califa dandosi una sistemata agli occhiali. «Solo una serie di rami molestatori lungo la strada.»
«YOYOYOI! Califa!! Non essere avventata nel tuo giudizio! Non fu forse l'uomo ad abbattere le foreste della Regina?! YOI! Non fu lui a soffocare i suoi germogli?? YOYOI! Odo il pianto della Natura levarsi da questa timida creatuuuraaaaa!!»
«Manca anche Jabura» notò Fukuro facendo saettare gli occhietti da un ingresso all'altro.
«Potrebbe essere con Lucci» ipotizzò Blueno.
«Può darsi» Kaku sospirò. Se Lucci era con Jabura, significava che era al sicuro. Con un diavolo per capello, ma almeno al sicuro.
«Perché non sono ancora torna-»
Le pareti furono scosse improvvisamente da un fremito. Pezzi di soffitto cedettero, si schiantarono sul pavimento e si sbriciolarono, sollevando un gran polverone.
«Non possiamo più restare qui. Questo posto sta cadendo a pezzi!»
«YOYOI!! Dovremmo dunque abbandonare la postazione, unico faro di speranza per i nostri compagni dispersi?»
«L'idea non piace neanche a me» ammise Kaku. Studiò nervosamente una grossa crepa nel muro e aggiunse: «Ma temo che non ci sia altra scelta. Tra poco quest'area crollerà, ed è solo questione di tempo prima che succeda all'intero ospedale.»
«Forse anche Jabura e Lucci stanno cercando un'uscita più sicura», suggerì Califa. «Potrebbero essersi diretti alle scale antincendio, alla fine del corridoio.»
Blueno non era altrettanto ottimista. Del resto, era stata un'idea del lupo quella di reincontrarsi nella zona del bar. «...Oppure potrebbero essere bloccati da qualche parte.»
«Continuiamo a cercarli!» saltò su Fukuro «Vi aiuto anch'io! Chapapa!!»
In assenza di Rob Lucci e Jabura, la decisione ultima spettò al membro più alto in grado per Doriki. «Va bene, spostiamoci e dividiamoci. Blueno resterà vicino al bar il più a lungo possibile, nel caso in cui tornassero qui.»
«E se il palazzo crolla?»
Kaku ripensò a quello che aveva detto a Jabura diversi minuti prima, a proposito di non usare il Rankyaku per non demolire l'ospedale. Ormai quel problema non esisteva più.
«Apritevi un varco e scappate. Ci rivediamo fuori.»
«...Tre!»
Gli artigli di Lucci, sguainati come lame, calarono sul materasso e lo squarciarono. Il tentacolo mozzato si ritrasse all'istante, scivolando giù da un piede di metallo della branda e allontanandosi. La Regina di Primavera urlava nella sua lingua silenziosa per l'affronto subito: nessuno aveva il diritto di sottrarle una preda tanto prelibata e presto o tardi quella specie di gatto gliel'avrebbe pagata.
Lucci aveva ben altri pensieri per la testa.
«Fai quello che devi» disse a Jabura, distogliendo lo sguardo da lui. Aveva sentito una specie di boato provenire da lontano, ma da
dentro l'edificio. Non era affatto un buon segno. «In fretta!»