Rob LucciCITAZIONE
-Cosa c'è di così divertente, Kaku?-
-In realtà... un paio di cose...- disse piano -Tuo fratello era... un inetto... e tu... hai dovuto avvelenarci per... per poterci... solo... sfiorare... buon sangue non mente, eh?-
Hattori indietreggiò sul ramo basso di un albero e si rannicchiò tra le foglie, incapace di smettere di tremare.
In tanti anni trascorsi al fianco di Lucci a vedere applicata la Giustizia Assoluta aveva imparato a distinguere diversi tipi di criminali e aveva capito, forse prima e meglio dell’ex leader del CP9, che quelli più pericolosi non erano semplicemente malvagi. Erano gli uomini soli, i disperati. Quelli che una volta persa la propria ragione di vita, consumati dal dolore e dalla solitudine, avevano votato l’esistenza ad una missione di vendetta personale. Gli uomini come Black Mamba.
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-Voi signori agenti scelti vi credete padreterni, vero?- lo sbatté a terra -Prova a ripeterlo, Kaku.-
Il colombo ritrasse la testolina, nascondendola sotto l’ala.
Sentì Kaku reagire; Black colpirlo più forte, ancora e ancora, rispondendo alle provocazioni in preda ad una furia crescente.
Sentì Lucci urlare. Urlava a Kaku di smetterla, perché la responsabilità era sua, perché lui aveva ucciso Nero, perché
Ti amo, e non sopporto che ti facciano del male!Non lo diceva a parole, ma Hattori lo percepiva forte e chiaro nella sua voce incrinata.
Si scoprì gli occhi per vedere il suo migliore amico provare a rialzarsi e scivolare di nuovo nel fango, nello strenuo tentativo di mettere in moto un corpo che non rispondeva alla sua volontà.
Realizzò in quel momento che malgrado fosse Kaku a sanguinare, era Lucci a spezzarsi, colpo dopo colpo.
Non poteva restare a guardare.
Lucci serrò la mascella e si sollevò a fatica sui gomiti, la vista sempre più annebbiata dagli effetti del veleno.
Kaku era a terra, forse svenuto; ma il sollievo di vederlo libero dalla presa del secondino durò ben poco. Per distrarre quel bastardo, anche Hattori stava rischiando grosso.
«Fottuto piccione!» imprecò Black, riparandosi dalle beccate aeree. «Se ti prendo giuro che...»
Un fruscio di passi sull’erba, e poi:
Lucci non fu sorpreso di sentire la voce austera di Lusky sopraggiungere dal bosco alle sue spalle.
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-Abbiamo finito. Salpiamo.-
Quell’altra voce, invece, gli fece sgranare gli occhi per l’incredulità.
Non può essere lei, si disse, categorico.
Doveva essere un effetto della tossina, la mente che perdeva lucidità e alterava le sue percezioni... Ma ciò che la vista gli restituì, per quanto assurdo, incomprensibile, impossibile da accettare fosse, confermò il suo primo sospetto:
«Califa...?»
Lei non batté ciglio.
Non parlò, non lo guardò neppure, concentrata solo su Hattori che volava nervosamente sopra la sua testa.
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-Che amici fedeli hai, Rob Lucci... -
La consapevolezza investì Lucci come l’ultimo treno in corsa a Water Seven prima dell’acqua laguna.
Improvvisamente tutto fu chiaro: lo strano comportamento di Califa nei giorni precedenti, l’assenza dei suoi compagni adesso, e...
«Lucci, sono io. Sono venuta a lasciarti dei vestiti puliti.»
«Sì. D'accordo.»
«...Lascio qui anche i tuoi, Kaku.»
...il motivo per cui Black Mamba sapeva della sua relazione con Kaku.
Da incredulo, il suo sguardo divenne rabbioso e accusatorio. «Come... hai potuto?!»
Califa incrociò i suoi occhi per un attimo, talmente impassibile da ricordare solo vagamente la ragazzina timida che Lucci aveva conosciuto proprio su quell’isola, più di venti anni prima.
Hattori le volò più vicino, stridendo qualche protesta dall’alto.
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-Se gli strappassi la testa e le ali chi soffrirebbe di più?-
-Abbiamo finito.- replicò con voce piatta Califa.
Lucci digrignò i denti.
«Sporca traditrice...» sibilò, mentre anche i gomiti cedevano sotto il peso del suo corpo.
Lusky gli scoccò un’occhiata furente. «Fatelo stare zitto.»
«Ci penso io!»
«Tu hai già fatto abbastanza, Black Mamba» decretò Auron, parandosi in tutta la sua imponenza di fronte al secondino. «Vai ad aiutare il capitano Verygood e i suoi uomini!»
Black s’irrigidì, tanto che persino Lucci, ormai interamente paralizzato, avvertì la sua riottosità verso il superiore.
«Bene...» Obbedì infine, aggirando il maestro. «Ma si ricordi che non sono più i suoi allievi. Adesso sono i miei prigionieri!»
«A proposito di allievi, Sir Auron...» Lusky si frugò nella tasca interna della giacca ed estrasse una lettera. Era vidimata col sigillo del Governo Mondiale. «Come da accordi col direttore Spandam, in cambio della sua collaborazione, le nuove reclute del CP9 potranno continuare l’addestramento qui. Non è più richiesto il loro intervento al fronte...»
Lucci non riuscì ad afferrare altro del discorso. Nella sua mente le parole e le immagini si confusero, fino a svanire come colori di un acquerello lasciato a dissolversi sotto la pioggia.
Qualcosa di leggero, alla fine, gli sfiorò la testa.
Si sforzò di aprire gli occhi, ma vide solo una massa bianca indistinta davanti a sé.
«Kuruppo...»Hattori lo accarezzò di nuovo; il tocco delle sue piume simile ad un alito di vento fresco tra i capelli.
«Vattene...» mormorò Lucci.
Non puoi seguirmi, non stavolta.
Le parole non vennero fuori, ma era certo che il colombo avesse compreso.
Ironia della sorte: in quel bosco lo aveva trovato, del tutto impreparato a prendersi cura di un pulcino appena sgusciato dall’uovo; in quello stesso bosco lo stava lasciando andare, del tutto impreparato a dirgli addio.
Beh, almeno uno dei suoi compagni si sarebbe salvato...
Con quella flebile speranza anche la mente di Lucci si spense, scivolando in un sonno artificiale e senza sogni.
***
Se il sonno fu disturbante, il risveglio risultò addirittura molesto.
Di certo nessun possessore di frutti del diavolo poteva dire di amare l’acqua, ma il Felis Felis aveva reso Lucci per metà un felino; per lui si trattava di una repulsione tutta naturale.
Ecco perché l’improvvisa doccia d’acqua gelida si rivelò tanto efficace quanto sgradita.
«Sveglia,
stronz’addormentato!»
Lucci spalancò gli occhi in un misto di panico e sorpresa.
Per un attimo boccheggiò, convinto di trovarsi ancora a bordo del Titanic, ammanettato nella cabina del commodoro Smoker mentre veniva invasa dall’acqua. Invece il respiro gli tornò subito. A non svanire furono un senso generale di debolezza, l’impressione di avere braccia e schiena immobilizzate, gli sghignazzi chiassosi di qualcuno.
Scosse la testa per togliersi i capelli bagnati dalla faccia, e lo vide: al di là delle sbarre brune di agalmatolite che delimitavano la sua cella, Black Mamba gongolava, reggendo tra le mani un secchio vuoto.
«Non mi dirai che sei davvero idrofobico?»
Prima che a parole, Lucci rispose con un’occhiata tagliente e assassina. «Vai all’inferno.»
Il carceriere gettò la testa all’indietro e riattaccò a ridere così sguaiatamente che per poco non perse gli occhiali da sole. Accendere Rob Lucci di rabbia forse non era appagante quanto vederlo soffrire, ma diavolo se era divertente!
Dal suo canto, Lucci non fece caso alle risa, né al gesto precipitoso con cui Black riaccomodò le lenti sul naso (dritto e affusolato, proprio come quello di Nero); aveva riconosciuto lo sciabordio delle onde contro lo scafo e l’emblema orizzontale sotto la serratura della sua cella –probabilmente identico a quello che adesso spiccava sul vessillo e sulla vela maestra. Si trovava su un vascello della Marina, rinchiuso nelle prigioni.
«Sai, non vedo proprio l’ora di andarci!» replicò il secondino, ricomponendosi. «Ma per vederti bruciare lì dentro, insieme ai tuoi amichetti...»
Lucci seguì lo sguardo del Mamba e intravide, a pochi centimetri alla sua destra, il profilo inconfondibile di Kaku. Aveva il capo chino, una catena di agalmatolite al collo e mani e braccia costrette da corde.
Si mosse istintivamente, per rendersi conto di essere legato allo stesso modo all’albero della nave.
«Corde...?» Il cigolio delle funi sembrò non piacere affatto al funzionario di Impel Down.
Black ringhiò, si girò verso due marinai alle sue spalle (cadetti della Marina, a giudicare dalle divise immacolate e dalle facce impaurite) e proruppe: «Chi è il coglione che ha legato questi due con le corde??»
«Ci... ci è stato ordinato così, signor Mamba!»
«Due di loro non hanno i frutti del diavolo, quindi le manette non sono necessarie...»
«Questi stronzi qui hanno entrambi uno Zoan!» Ruggì Black, senza quasi lasciarli finire. Indicò poi un’altra cella, attigua a quella di Lucci e Kaku. «Questi altri non hanno mangiato un frutto del diavolo, sono strambi e basta:
a loro andavano messe le corde!»
Lucci non vide Fukuro addormentato accanto a Kumadori (né i lunghi capelli del collega a fungere da copertina per entrambi), ma intuì a chi si riferisse Black.
«N-Noi ci siamo attenuti agli ordini della signorina...!»
«Al diavolo!» Black Mamba li zittì, agitando una mano in aria. «Hanno comunque i collari di agalmatolite.»
Tornò a guardare Lucci e gli rivolse un sorriso sfottente. «Vi donano, sai? Del resto siete o non siete cani bastardi del Governo?!»
«Chi... hai chiamato...
cane? Gattaccio... maledetto...» Un mugolio dalla cella di fronte.
Lucci roteò gli occhi, esasperato. Jabura si confermava un totale imbecille, anche quando dormiva!
Black scrutò con la coda dell’occhio il prigioniero in dormiveglia, ammanettato vicino a Blueno (che invece continuava a ronfare alla grande). Il lupo non gli interessava, ma sapeva che il muccone si trovava sul treno marino quando Nero era stato ucciso e che, al pari di quel bastardo di Kaku, non aveva mosso un dito per impedirlo. A tempo debito l’avrebbe pagata anche lui.
Si voltò e tornò sui suoi passi, imboccando le scale che portavano al ponte superiore e comunicando con un cenno ai marines che la sua visita era terminata.
«Goditi la traversata, Rob Lucci...» Ridacchiò, i canini aguzzi e ricurvi in bella mostra. «Saremo a Impel Down in meno di venti minuti!»
La porta si chiuse alle spalle degli uomini con un sonoro
clang metallico. In pochi secondi, nella prigione calò una calma surreale, turbata solo dal rumore delle onde contro la chiglia e dal russare sommesso di Fukuro -una specie di “chapaaa” sospirato.
Lucci quasi non attese di sentire i passi di Black e dei marines allontanarsi. Si voltò verso destra, le catene di agalmatolite a tintinnare contro il collare della stessa lega.
«Kaku?»
Nessuna risposta.
Tentò di muoversi, spingendo la schiena in avanti e testando la resistenza delle funi che lo legavano all’albero. Erano solide e strette, ma forse non abbastanza strette, per lui...
Decise di fare un tentativo. Si era giocato gli artigli per via dell’agalmatolite, ma poteva ancora contare sulle sue tecniche, finché ne aveva le energie.
Chiuse gli occhi per concentrarsi, per costringersi a non pensare a Kaku e ai suoi compagni incatenati e sbattuti in cella come luridi pirati dopo una vita al servizio del Governo Mondiale. Quando la sua mente fu abbastanza sgombra da prendere il pieno controllo del corpo, eseguì:
«
Ritorno alla vita.»
Fibra dopo fibra, i suoi muscoli entrarono in tensione e cominciarono a perdere volume a vista d’occhio. Lucci non aveva mai usato quella particolare combinazione di
Reazione vitale e
Kami-e in forma umana, ma l’effetto fu quello sperato: la morsa delle funi si allentò gradualmente, permettendogli di liberare le spalle e le braccia in una manciata di minuti.
Tante grazie al coglione che aveva ammanettato Fukuro e Kumadori.
Per la verità, quella mossa non cambiava la sua condizione (anzi, la peggiorava: sarebbe arrivato ad Impel Down stanco e coi morsi della fame, considerando che, oltre ad aver accelerato bruscamente il suo metabolismo, aveva saltato la cena della sera prima), ma l’intento di Lucci non era certo quello di evadere.
Si svincolò dalle corde più in fretta che poté, per correre da lui.
«Kaku…»
Lucci gli s’inginocchio di fronte e gli sollevò la testa, prendendola con delicatezza tra le mani. Nella luce sbiadita dell’alba, il volto di Kaku era una maschera di lividi e sangue rappreso.
Perché lo hai fatto? Stupido!Probabilmente non aveva lesioni profonde, probabilmente Roronoa lo aveva conciato anche peggio durante la sua battaglia ad Enies Lobby, ma Lucci provò comunque una stretta al petto nel vederlo ridotto così.
Girò intorno a Kaku e armeggiò con le funi che lo tenevano legato, sciogliendone i nodi con le dita ancora gonfie e indolenzite dal pestone di Black. Senza più nulla a bloccarlo, il busto del compagno cadde in avanti. Lucci lo strinse a sé prima che potesse cadere.
«Sei stato un pazzo!» Sussurrò, la voce a spegnersi contro le labbra dell’altro.
Per un attimo, con gli occhi chiusi, la fronte di Kaku nell’incavo del suo collo, Lucci dimenticò dove si trovasse e da quanti potenziali spettatori fosse circondato. Poi sentì di nuovo Fukuro russare e Jabura borbottare nel sonno e Kumadori implorare scuse a sua madre, e scoprì che non gliene importava nulla. Che lo vedessero pure.
Gli importava solo di avere Kaku tra le braccia, di sentire di nuovo il suo respiro e i suoi capelli corti solleticargli la pelle.
Ma l’abbraccio non poteva durare a lungo; tra poco qualcun altro sarebbe sceso a terminare il lavoro dei marines o ad annunciargli l’arrivo nella prigione di massima sicurezza.
Lucci adagiò Kaku con la schiena contro la parete, quindi si tolse giacca e camicia e usò quest’ultima per tamponargli il viso. L’indumento era umido, perfetto per rimuovere il sangue, anche se l’acqua salata avrebbe bruciato un po’ sulle ferite.
«Ma che... CAZZO!»
Era solo a metà dell’opera quando Jabura, ancora non del tutto sveglio, cominciò a litigare con le sue manette.
Ci fu un gran fracasso di catene sbatacchianti e imprecazioni soffocate e poi, di nuovo, un «Cazzo!» più consapevole.
«Smettila.» Lucci gli avrebbe suggerito di usare almeno un sinonimo, ma non era in vena d’umorismo. Continuò a tamponare il mento di Kaku con un lembo della camicia, senza voltarsi. «Anche le sbarre sono di agalmatolite. Non uscirai di qui nemmeno strappandoti le mani dai polsi.»
«Hanno preso anche voi?! Come avete fatto a...»
Jabura si interruppe.
Aveva notato il volto martoriato di Kaku, e Lucci che tentava di restituirgli un aspetto appena decente pulendogli il sangue. Non seppe decidere quale tra le due cose lo colpisse di più, però, di sicuro, lo facevano discretamente incazzare entrambe. «Che è successo?»
«È una storia lunga.»
Silenzio per qualche secondo.
Jabura studiò il rivale attraverso le due file di sbarre che li separavano. Vedeva solo uno scorcio della sua faccia, ma tanto bastava per capire che aveva una pessima cera, e l'ematoma violaceo stampato su di un fianco non lasciava spazio ai dubbi.
Qualcuno aveva pestato anche Lucci. Solo che prima o dopo aveva preferito concentrarsi su Kaku: quella era la parte peggiore.
O forse, la parte peggiore di tutta la faccenda, era che pochissimi uomini sarebbero riusciti a picchiare a sangue Rob Lucci e Kaku, senza giocare sporco.
«Hanno usato il veleno?»
«Come è stato per voi, suppongo.»
«Sì, ma...
perché?» Jabura guardò di nuovo il collega più giovane. Non c’era bisogno di sottolineare che nessun altro aveva subito quel trattamento, dopo essere stato paralizzato.
«Perché ho scoperto di avere un conto in sospeso con uno di loro» si decise a spiegare Lucci; la voce atona, lo sguardo assorto su Kaku. «Ho ucciso suo fratello, e lui è venuto a vendicarsi.»
Jabura elaborò le informazioni senza battere ciglio. Del resto, uccidere era parte integrante del loro mestiere; tentativi di vendetta da parte di familiari e amici dei morti erano rari, ma comunque non una novità. Tra i punti da chiarire, però, ne rimaneva uno fondamentale: «Se gli hai sfasciato tu la famiglia, perché lui ha sfasciato Kaku?»
Lucci s’irrigidì, e quell'istante di tensione malcelata suggerì a Jabura la risposta ancor prima che venisse pronunciata.
«Perché Kaku lo ha provocato... e perché quel tizio, Black Mamba...
lo sa.»
«Intendi dire...»
«Sa di me e Kaku. E ritiene che questo sia il modo migliore per vendicarsi.»
«Che gran figlio di puttana!» (Lucci non ebbe nulla da ridire sulle volgarità, stavolta.) «Come fa a saperlo?!»
«Non ci arrivi da solo?»
Jabura non rispose, forse perché la soluzione non era ovvia come come sembrava all’altro, o forse perché una parte di lui la rifiutava a monte.
Lucci finalmente si voltò, lo sguardo acuto e penetrante malgrado il pallore del volto. «Chi ti ha sbattuto lì dentro? Chi c’era dietro tutta l’operazione?»
«Lei non lo farebbe mai.» Jabura capì dove voleva andare a parare e non gli garbava per nulla.
«Non ha avuto problemi a colpire te e gli altri alle spalle, mi sembra.»
«Ma questo è diverso!» Sbottò il Lupo. «La conosco, Kaku le piace. Insomma, giocavano assieme, da bambini... Non avrebbe permesso che-»
«Jabura.» Lucci ora lo fissava critico, quasi fosse un insegnante alle prese con un alunno ottuso. «Califa ci ha traditi.»
«È solo confusa! Lusky le ha fatto il lavaggio del cervello!»
«Ci ha venduti per riavere il suo posto nel Cipher Pol!»
«Che ne sai che non sia stata costretta a farlo?!»
I toni accesi della discussione finirono per sollevare mugolii di protesta dalla cella vicina, e non solo: Lucci notò che anche sul volto di Kaku era comparsa una smorfia. Decise che l'ottusità del lupastro poteva aspettare, per il momento.
Scostò la camicia dal labbro spaccato del compagno e attese il suo risveglio.
Scusa per l'immenso ritardo, avevo troppe idee per questo post, e alla fine non sono riuscita a rinunciare quasi a nessuna.
È che volevo l'hurt, ma volevo anche il comfort, e soprattutto avevo un bisogno disperato di quell'abbraccio dopo il tuo post!! (Ma io ad Impel Down come ci devo arrivare, donna? xD t.t)
Oh, le battute di Lucci durante l'abbraccio sono quasi identiche a quelle dette sul Titanic, quando Kaku salta giù dalla scialuppa per tornare da lui. Sproloqui vari ed eventuali su WA ♥