MarcoCITAZIONE
"Nemmeno a me piacciono i vecchietti, così non dovrai temere che io ti salti addosso."
Marco ridacchiò fra sé ed ebbe la chiara tentazione di rispondergli che era proprio quello che temeva, guarda, e che adesso era molto più tranquillo, ma alla fine non lo fece. Era sollevato che Ace avesse finalmente accettato la sua proposta e si fosse messo comodo nel suo letto per rischiare un'altra discussione infinita.
Rivolse il suo sguardo alla scrivania e alla pila di foglia a cui doveva dedicarsi, ma non perse effettivamente d'occhio Ace finché non sentì il suo respiro assestarsi. Gli scoccò quindi una rapida occhiata, per verificare che si fosse davvero riaddormentato e lui potesse star tranquillo sulla questione. Era davvero incredibile come, da addormentato, Ace paresse differente da sveglio. Il suo viso si rilassava, facendolo apparire tanto giovane quanto era in effetti, e rilassato nonostante le ferite ancora evidenti, completamente diverso dal racasso che teneva sempre il muso ed era arabbiato con il mondo.
Poi Marco si rese conto che era abbastanza da maniaci fissare qualcuno che dormiva e tornò a dedicarsi ai suoi fogli, scoprendo che era decisamente più facile concentrarsi quando l'alternativa era ricordarsi che Ace stava dormendo nel suo letto, con tutti i pensieri che non voleva fare che ne potevano conseguire. Solo una cosa non riusciva a togliersi dalla testa. Ace l'aveva definito "vecchietto". Per quanto Marco non si ritenesse affatto così vecchio da aver diritto a quel soprannome, era indubitamente vero che tra lui e Ace passessero abbastanza anni. E che Ace fosse effettivamente così giovane da potersi permettere di dare agli adulti come lui dei 'vecchietti'. Per quanto fosse una cosa che già sapeva, averla sentita pronunciare da lui gli aveva dato una brutta sensazione. Era come la conferma definitiva che doveva smettere di farsi teatrini mentali per qualcosa che non era giusto accadesse.
Quando fu a buon punto col lavoro, si chiese se non fosse il caso di mettersi a dormire almeno un paio d'ore, ma peferiva comunque essere sicuro che Ace recuperasse tutta la stanchezza che aveva da recuperare. Così proseguì fino all'alba, quando si rese conto di non riuscire più a vedere i numeri. Allora, fidandosi che Ace, se non si era svegliato fino a quel momento, non l'avrebbe fatto ancora per un po', si alzò e fece un giro del ponte. L'aria frizzante mattutina gli diede la possibilità di riprendersi dalla stanchezza accumulata, poi fece un salto in cucina. I cuochi erano già arzilli per preparare la colazione e dalla cucina proveniva un buon odore di pane e paste appena sfornate.
"Ehi" lo salutò allegramente Satch, che dato il suo lavoro era un altro nottambulo là dentro. "Come va?"
"Tutto bene, ho lavorato tutta la notte."
"Allora ti faccio un caffé." E gli servì davanti una tazza fumante di liquodo nero e amaro, assieme ad una fetta di pane riempita di ogni ben di dio, calda, a cui Marco non poté dire di no. "E il nostro ospite? L'hai più visto?" domandò, mentre lo guardava mangiare.
"Sì, è in camera mia. A dormire, Satch, a dormire" specificò, con sguardo truce, nel notare il sorriso sornione del compagno. "Ieri è crollato sul ponte, aveva decisamente bisogno di un letto dove riposarsi."
"Capisco" mormorò Satch, senza che quel sorrisetto irritante lo lasciasse. Poi diede qualche ordine ai cuochi della sua divisione, che prepararono in fretta un non tanto piccolo cestino, pieno di paste e salato. "Per Ace, quando si sveglia. Sai che certe persone vanno prese per la gola."
"Allora gli suggerirò di provarci con te" lo prese in giro Marco, ma prese comunque con sé il panino e lo portò nella sua cabina, dove lo appoggiò alla scrivania. Emanava ancora un buon odore e Marco si chiese se sarebbe stato sufficiente a svegliare Ace.